Nell'
articolo precedente abbiamo visto che, all'indomani dell'Unità d'Italia, tra il 1860 e gli anni '80, il Comune di Casalmaggiore istituì un completo sistema di scuole primarie, secondo quanto prescrivevano le leggi Casati e Coppino, che, pur riservando allo Stato l'ordinamento e la normativa generali, ponevano totalmente a carico dei Comuni, spesso sprovvisti di mezzi, le spese per gli edifici, l'arredo e il personale della scuola. Casalmaggiore mostrò sempre una particolare attenzione per il problema, cosciente che un diffuso sviluppo dell'istruzione e della cultura è il miglior presupposto per la crescita civile, sociale ed anche economica della comunità ed ogni anno investì quindi circa un quarto del proprio bilancio nella scuola e negli stipendi dei maestri, che naturalmente ne costituivano la maggior voce di spesa.
Di questi veri protagonisti della graduale lotta contro l'ignoranza e il sottosviluppo delle classi più diseredate, della condizione di vita e di lavoro di questi “eroi sconosciuti” vorrei ora trattare.
Il loro rapporto con l'Amministrazione comunale era definito da un Regolamento organico approvato dal Consiglio il 26 ottobre 1875 e rimasto in vigore fino al nuovo secolo. La rete delle scuole primarie era estesa, come già ricordato, a tutto il territorio: la scuola urbana del capoluogo comprendeva due corsi, maschile e femminile, di cinque classi ciascuno (le prime tre obbligatorie in base alla legge Coppino del 1877, la IV e la V facoltative), con l'impiego quindi di cinque maestri e di cinque maestre; le 12 frazioni possedevano solo il corso inferiore obbligatorio con le tre classi affidate ad un unico maestro, ma divise in due sezioni, maschile e femminile (ma a Rivarolo e Casalbellotto esisteva anche una classe facoltativa, che riuniva IV e V). Nelle frazioni con un limitato numero di allievi, come Fossacaprara e Agoiolo, il Comune aveva tentato l'esperimento di un'unica classe mista, anche per utilizzare un solo maestro, ma aveva dovuto presto rinunciare per le proteste della popolazione, un po' perchè le classi risultavano troppo numerose, un po' per gli scrupoli morali dei più timorati, con a capo il parroco, che rifiutavano ogni promiscuità. Pertanto il corpo docente era formato, al momento del suo completo sviluppo, da 36 maestri, 19 maschi e 17 donne, come risulta anche dall'elenco qui riprodotto, che si riferisce all'a. s. 1887-88.
I maestri venivano assunti mediante concorso pubblico per titoli ed esami davanti ad un'apposita commissione comunale, formata da un amministratore, un professore delle scuole superiori e un maestro. Per partecipare occorreva che i candidati possedessero la patente di maestro di grado inferiore (con la quale si poteva però insegnare nelle sole classi dell'obbligo) o di grado superiore. Tali titoli si acquisivano presso le scuole normali triennali, alle quali si accedeva con un esame, senza che fosse richiesto alcun titolo di studio precedente, e per iscriversi era sufficiente avere 16 anni i maschi e 15 le femmine; bastava però la frequenza di un biennio oppure la frequenza di scuole magistrali biennali istituite dalle Province per ottenere la patente inferiore. La formazione dei maestri costituì sempre un grosso problema nell'Italia dell'Ottocento e la loro preparazione rimase sempre in generale ad un livello assai modesto, in quanto lo Stato aveva bisogno di disporre rapidamente di molti docenti da immettere nelle scuole elementari in rapida espansione e non vi era quindi tempo per formarli compiutamente (col sottinteso che la bassa professionalità di questo “proletariato intellettuale” poteva essere compensato con bassi stipendi).
In base al citato regolamento i nostri maestri erano soggetti a un periodo di prova di 5 anni e, se confermati dal Consiglio, erano assunti in pianta stabile. Avevano diritto di ritirarsi e di percepire la pensione dopo 40 anni di servizio, oppure dopo 20 per inabilità o malattia, versando un contributo previdenziale mensile del 2-3% sullo stipendio. La pensione era commisurata a 1/40 per ogni anno di servizio prestato.
L'aspetto più spinoso del rapporto di lavoro era lo stipendio, che veniva determinato dai singoli Comuni. Visti gli abusi e il vero sfruttamento esercitato dai Comuni, che per risparmiare tendevano ad assumere i maestri che si accontentavano dello stipendio più misero, lo Stato fissò dei limiti minimi di legge, anche se proseguì a lungo nelle zone e nei Comuni più poveri, magari con vari sotterfugi, la piaga delle contrattazioni individuali al ribasso.
Non era certo questo il caso di Casalmaggiore, che sempre si attenne agli stipendi legali, assai differenziati tuttavia secondo particolari parametri. I docenti delle scuole urbane ricevevano uno stipendio maggiore rispetto a quelli delle scuole rurali, per assicurare al capoluogo i maestri migliori; i maestri rispetto alle maestre, in ossequio al concetto tradizionale che è l'uomo che mantiene la famiglia, mentre la donna o non lavora o ha un ruolo sussidiario; i maestri delle classi superiori rispetto a quelli delle inferiori. Anche per questo aspetto rinvio alla tabella degli stipendi qui riprodotta. In ogni caso il reddito di un maestro era simile a quello di un operaio o di un artigiano più che a quello di un qualunque professionista ed anche i professori laureati delle scuole secondarie (che erano tutti uomini) ricevevano dal Comune una retribuzione ben superiore, intorno alle 1400 lire annue.
Per questo sono frequenti le accorate suppliche e le proteste che i maestri rivolgono, pur con i toni più deferenti, alla “S. V. Illustrissima” il sindaco per invocare aumenti o sussidi, sottolineando che a parole si riconosce il prestigio del loro ruolo, ma intanto il loro stipendio è inferiore a quello degli altri impiegati comunali e “sono costretti a trarre una vita piena di sacrifici, di stenti e di privazioni, senza poter mai godere quella tranquillità d'animo, e quell'amore al pubblico insegnamento, di cui fa d'uopo sia fornito ogni educatore” (così in una lettera firmata da tutti i maestri maschi nel 1882). E' bene ricordare che qualche miglioramento venne ottenuto nel tempo: ad esempio, gli stipendi della tabella del 1887-88 risultano superiori di circa il 15% a quella analoga allegata al Regolamento del 1875, segno che gli amministratori non erano del tutto insensibili al grido di dolore che veniva dai maestri.
Ma più che degli aspetti giuridici ed economici dell'umile carriera dei maestri casalaschi, vorrei in questa sede parlare della loro concreta esperienza di vita, dei problemi che incontravano sul piano didattico e pedagogico, di come cercavano di affrontarli e di risolverli. Al riguardo la documentazione più utile è fornita dalle relazioni che essi erano tenuti a presentare al sindaco alla fine de ogni anno scolastico, anche se la serie che possediamo è largamente incompleta e la gran parte delle relazioni appare redatta, come non raramente capita anche oggi, in termini burocratici e ripetitivi, più per assolvere un obbligo che per rendere veramente conto dei problemi.
Invece quindi di un esame in termini generali, d'altronde impossibile in questa sede, ritengo più utile concentrare l'attenzione su un singolo caso, quello del maestro Giovanni Bernardi, che mi è parso non solo particolarmente significativo, ma che presenta imprevisti risvolti drammatici, capaci di illuminare l'effettiva condizione in cui si svolgeva, sul piano oggettivo e sul piano psicologico, l'esistenza di quel vero“apostolo laico” che nell'Ottocento fu il maestro.
Nato a Remedello Sotto, in provincia di Brescia, il 26 luglio 1842, il Bernardi, una volta conseguita la patente di grado superiore, venne assunto nel 1862 come maestro provvisorio nella scuola rurale di Brugnolo, dove poi rimase come titolare dal 1864 al 1866. In quell'anno chiese il trasferimento alle elementari di Commessaggio, dove insegnò per ben 17 anni, fino all'a. s. 1882-83.
Intanto, nel 1880, partecipò al concorso per maestro nella pluriclasse di I-II-III di Rivarolo del Re, giungendo secondo, con il punteggio di 70 1/2 su 80, dopo il maestro Alessandro Calidoni, vincitore con 77/80, che rimase titolare nella frazione fino alla pensione nel 1914 meritando ampi riconoscimenti. L'Archivio conserva i documenti relativi a questo concorso e vale la pena farvi un cenno. L'esame consisteva in prove scritte di calligrafia, di composizione e di aritmetica, seguite da una prova orale di lettura (di prammatica un brano dei Promessi Sposi), grammatica ed aritmetica e, per le maestre, di lavori femminili, materia fondamentale per le bambine. Riporto integralmente almeno il titolo per la composizione nel concorso 1880, che più di un lungo discorso rivela, anche nella forma linguistica, come si concepivano allora i rapporti familiari e sociali, il rapporto scuola-lavoro e la scala di valori che vi presiedeva: “Un vostro amico, figlio di onesto operaio, avendo compiuto il corso delle Scuole Tecniche, sdegna di aderire al desiderio del padre, che vorrebbe farne un intelligente ed abile artigiano, e da molto tempo vive ozioso, aspettando di poter ottenere un posto di scrittore presso qualche pubblico Ufficio. Voi, e per l'affetto che gli portate e perchè pregato dal padre di lui, gli scrivete una lettera, nella quale, dopo avergli fatto conoscere quanto sia ridicola la sua vanità nel ritenere a lui meno dicevoli le arti manuali, per aver sfogliato qualche testo ed essersi procacciata qualche cognizione superiore alla comune, con tutti gli argomenti che la ragione e la cotidiana esperienza vi sanno suggerire, tentate indurlo a seguire il consiglio paterno. Dimostrate poi le tristi conseguenze che ponno a lui derivare dall'ozio a cui s'abbandona e conchiudete dicendo che se l'istruzione avesse per solo compito di fare degli spostati, essa potrebbe considerarsi più dannosa che utile, sia all'individuo che all'intera società”.
Il nostro Bernardi, resosi in seguito vacante il posto nella scuola rurale di Vicobellignano, sostenne l'8 novembre 1883 l'esame di concorso per esservi assunto e risultò primo col punteggio di 44/50. Vi rimase fino all'a. s. 1888-89 e, malgrado tutte le difficoltà incontrate, questo periodo rimase per lui il più ricco d'impegno e di soddisfazioni. Di questi anni rimangono alcune sue relazioni finali, che credo siano le più approfondite, acute, originali per intelligenza, cultura, sensibilità umana e pedagogica fra quante si possano leggere nella documentazione rimasta. Esse riguardano gli anni 1883-84, 1885-86, 1886-87, 1887-88.
Non potendo esaminarle analiticamente, trarrò da esse solo alcuni spunti. Innanzi tutto esse presentano i dati numerici sui risultati conseguiti, che sono sempre motivo di sconforto, perchè, malgrado l'impegno profuso dal maestro, l'esito degli esami di promozione nelle classi I e II e di proscioglimento dall'obbligo per la III appare costantemente deludente per le molte cause oggettive che vengono denunciate. Il numero degli iscritti nella pluriclasse maschile di Vicobellignano si aggira sempre intorno ai 70, ma all'esame conclusivo si presentano a ranghi ben ridotti e molti devono ripetere. Ad esempio, nel 1885-86 gli alunni sono all'inizio 30 in I, 21 in II, 18 in III; in luglio però nella I sostengono l'esame in 23 e i promossi sono 12 (11, quasi il 50% dei presenti, e quasi i 2/3 degli iniziali devono ripetere); della II si presentano in 12 e vengono promossi in 9; per la III sono 9 gli esaminati (solo il 50% affronta l'esame per il compimento dell'obbligo) e vengono prosciolti in 7.
Più difficile è estrarre passi significativi dalle articolate relazioni del Bernardi, sempre dense d'argomenti e sottilmente ragionate, esemplari della mentalità, delle esigenze, degli obiettivi del maestro ottocentesco. Egli vorrebbe che la scuola popolare avesse un indirizzo pratico, e, “scongiurando quel fetido formalismo che ancora ci appesta”, rispondesse alla vita reale dei fanciulli, che in essa devono acquistare le attitudini necessarie ad esercitare le arti ed industrie future. Si rifiuta ogni apprendimento mnemonico e la consuetudine di ripetere e far ripetere meccanicamente sempre le medesime nozioni: gli alunni sanno magari ripetere, ma non capiscono “si trovano imbrogliati a dar spiegazione vera, persuasiva, naturale delle parole che leggono...Se si domanda loro: Che cos'è il vestito? Siur l'è 'l vastì” e non si va oltre. Le difficoltà che presenta l'insegnamento della lingua nazionale è problema che ritorna tormentosamente per “la molta disparità o lontananza delle locuzioni del locale dialetto dalla lingua adoperata dai ben parlanti e il pochissimo o nessun aiuto che i giovinetti delle scuole rurali ricevono dalla famiglia”. Si rileva anzi la “malaugurata inclinazione dei genitori di deridere il bambino tutte le volte che lo sentono ripetere le parole o i concetti uditi nella scuola, quasi volesse mostrarsi a loro diverso nel parlare, come dicono, in punta di forchetta”. Anche quando si richiede di parlare della vita e delle cose che ben conosce, il fanciullo “non trova la forma, cerca, fruga, s'infastidisce e prende in uggia libri, maestro e scuola; e per poco che veda il padre inclinato a portarlo seco, lascia volentieri i libri e lo segue contento, pur di non lambiccarsi il cervello. Se poi, terminato un lavoro di composizione, e portatolo dinnanzi al maestro, lo vedono qua cancellare una riga, là rifare o aggiungere una parola, essi restano così malcontenti che un'altra volta lasciano la carta bianca, dicendo di non saper fare”.
Il maestro, oltre ad istruire, deve anche “formare il cuore” dei fanciulli, perchè scopo finale dell'educazione è il loro miglioramento morale. Il Bernardi, che sembra ispirarsi ad un solidarismo cristiano e sociale, insegna quindi “i doveri che abbiamo verso Dio, verso la patria e l'umanità”, con la coscienza però che questi valori potranno affermarsi solo con “l'affettuoso accordo che deve essere tra coloro che devono dare e coloro che devono ricevere...allora vedremo nascere e restare con noi il santo legame della concordia, che è il gran compenso che una Nazione sappia cavare dagli sforzi comuni”.
Emerge infine un quadro dettagliato e impietoso delle misere condizioni in cui devono operare le scuole rurali. La durata delle lezioni è in pratica di solo quattro mesi, per i ritardi di inizio d'anno e perchè da aprile i fanciulli vengono impegnati dai genitori nei lavori agricoli, nella custodia del bestiame, nell'allevamento dei bachi da seta. Dalla metà dicembre a tutto febbraio sopravviene il gelo invernale e la temperatura nelle aule scende anche sotto lo zero per il cattivo funzionamento dei caloriferi e il risparmio sul combustibile. In tali condizioni i bambini più piccoli e delicati se ne rimangono a casa, mentre i più volonterosi, non più della metà, poco coperti e coi piedi gelati, “stanno col cappello in capo e intirizziti ascoltando le pazienti spiegazioni del maestro, dando prova di quell'abnegazione che il popolo sa adoperare nel compimento del dovere”. L'invocazione affinchè il Comune provvedesse a riscaldare meglio le aule nei mesi invernali era del resto generale, perchè ne andava della salute degli alunni, ma anche dei maestri, il cui lavoro, aspetto che emerge di rado, ma che è di assoluta rilevanza, era soggetto a fatiche e malattie professionali che ne minavano gravemente il fisico.
Il Bernardi in una sua relazione compiange l'infelice situazione di un collega, che non ha potuto lavorare al meglio e lo descrive come “un povero uomo martellato orrendamente dalla sventura; chè, si sa, quanto i gravi pensieri paralizzino l'intelletto e il volere, e loro tolgano l'energia indispensabile nell'adempimento del dovere”: parole che prefigurano con terribile evidenza la sorte che incombe su lui stesso.
Nell'ottobre 1889 viene bandito dal Comune un concorso interno per soli titoli per coprire il posto di maestro della classe IV urbana resosi vacante. Bernardi vi partecipa per avanzare di grado e per ottenere un sensibile aumento di stipendio (da L. 760 a L. 1000) e il Consiglio comunale delibera la sua nomina tra quattro concorrenti. Quindi nel maggio 1892 gli rilascia all'unanimità un attestato di lodevole servizio come “maestro ottimo sotto ogni rapporto”, così che può conseguire la nomina in pianta stabile nel Comune di Casalmaggiore, uscendo finalmente, alla bella età di 50 anni, dalla condizione di precarietà (ma si ricordi che egli aveva insegnato per 17 anni a Commessaggio e solo dal 1883 era passato alle dipendenze del nostro Comune). Inoltre, a coronare questa serie di importanti riconoscimenti del suo valore e prestigio professionale, alla fine del 1899, sulla base di favorevoli rapporti dei suoi superiori e del Consiglio scolastico provinciale, il Bernardi conseguì dal Ministero della Pubblica Istruzione il diploma di direttore didattico.
Non possediamo nessuna sua relazione scolastica relativa agli anni '90, mentre insegnava nella IV classe urbana, e quindi nulla possiamo dire su quel periodo. Tuttavia invece di raggiungere, come probabilmente si aspettava, le maggiori soddisfazioni di vita e di carriera, egli precipitò all'improvviso in un abisso di sventure.
Ci sfuggono le premesse, ma la sua esistenza subì una drammatica svolta quando l'ispettore scolastico del Circondario di Casalmaggiore, l'avv. Giovanni Morganti, scrisse il 28 aprile 1900 una lettera al sindaco avv. Gorni, in cui rivolgeva contro Bernardi gravissime accuse, affermando che “non tanto in causa dell'età, quanto forse per le condizioni di una salute molto scossa, lascia a desiderare sotto ogni aspetto. E' un maestro pedagogicamente e didatticamente esaurito, che non ha autorità alcuna sopra gli alunni e fa sempre, sia pur inconsciamente, il contrario di quello che gli viene consigliato e di cui in apparenza si dice persuaso. Onde la classe IV... versa costantemente in condizione deplorevole”. Quindi “l'unico partito che rimane e che s'impone nel vitale interesse della nostra scuola...è quello di collocare a riposo il maestro Bernardi”; viste le sue condizioni di bisogno economico, gli si può solo concedere, in via puramente eccezionale, di valutare anche il periodo in cui ha insegnato a Brugnolo, perchè possa raggiungere 21 anni di servizio e il minimo della pensione.
Il maestro ha evidentemente avuto un crollo psico-fisico ed è caduto in uno stato di totale esaurimento e prostrazione e tuttavia è difficile capire come mai di un maestro considerato sempre eccellente, e che tale fu a giudicare dalla sua carriera e dai suoi scritti, si sostenga all'improvviso che “le sue forze fisiche e intellettuali sono diminuite a tal punto da renderlo pressochè incapace a continuare il suo ministero” . E la meraviglia cresce per il fatto che anche il sindaco e il Consiglio comunale accolgono in pieno le tesi del Morganti: convocato il 30 agosto, questo delibera con 14 voti contro 4 il pensionamento del maestro e solo qualche debole voce chiede come mai si è verificato un così totale rovesciamento di giudizio. Il sindaco giustifica il provvedimento, oltre che per “la sua incoscienza e incapacità educativa” anche “per cose che il tacere è bello”. Del resto anche il Bernardi controbatte le accuse in una lettera del 29 luglio 1900, in cui difende i propri meriti “che non possono essere distrutti da fatti particolari che riguardano un solo anno scolastico”, riconoscendo implicitamente anche lui qualche mancanza.
La conclusione fu che il maestro, malgrado le proteste e i ricorsi venne posto in pensione e la sua tragedia si consumò quando il Tribunale di Bozzolo, il 26 ottobre 1904, dispose il suo definitivo ricovero nel manicomio di Cremona, dove morì il 28 settembre 1905.
Qualunque sia stato il reale motivo del suo finale sconvolgimento psichico, il suo caso testimonia emblematicamente l'immane tensione e l'usura cui era sottoposto il maestro di una scuola popolare nell'Ottocento, quanto più si investiva del suo ruolo, per le condizioni penosissime in cui doveva svolgere il suo lavoro e per il conflitto tra i suoi ideali umanitari ed educativi e la frustrante realtà in cui doveva calarli. Anche per questo la tragedia del maestro Bernardi, vittima della sua missione, mi pareva degna d'essere ricordata.