Questo articolo riguarda l’andamento demografico durante il periodo di Antico regime, ma mi pare opportuno iniziare dal presente e ringrazio l’Ufficio anagrafe per avermi fornito i dati più recenti.
Nel Comune di Casalmaggiore il 31 dicembre 2007 i cittadini residenti erano 14592 (8057 nel centro e 6535 nelle frazioni), il censimento del 2001 aveva rilevato 13818 abitanti (dato non scomponibile), in quello del 1991 gli abitanti erano 13145 (7043 nel capoluogo e 6102 nelle frazioni), in quello del 1971 13161 (6504 in centro e 6657 nelle frazioni), nel 1951 un totale di 15169 (6100 in centro e 9069 nelle frazioni).
Già questi dati si prestano ad importanti rilievi e, in estrema sintesi, ci dicono che Casalmaggiore esce dalla guerra con una popolazione consistente, che risiede prevalentemente nelle frazioni (in una proporzione che si avvicina a 2/3 contro 1/3, che è quella grosso modo esistita anche nei secoli passati, quando però, si deve osservare, il contado comprendeva anche Rivarolo del Re e Uniti, poi separatosi nel 1915 per formare comune autonomo e realizzare la sua antica aspirazione a liberarsi dall’“oppressione” casalasca). Nel ventennio fino al 1971 si ha un calo complessivo di ben 2000 abitanti e in mezzo ci sono il boom economico, la crisi della società contadina e l’affermarsi della società industriale e urbana, con il grande esodo dalle campagne verso la città. A risentirne sono soprattutto le frazioni, mentre il capoluogo compensa la propria emigrazione con l’afflusso da centri minori e viene a comprendere il 50% della popolazione complessiva. Il processo di stagnazione va avanti fino al 1991, con crescita però del centro, mentre nel 2001 si osserva un’inversione di tendenza e un incremento significativo, che si accentua via via negli anni a noi più vicini, che vedono quasi rovesciarsi l’originario rapporto centro- frazioni. Ma in questo incremento gioca un ruolo decisivo un fattore nuovo, l’arrivo di un consistente numero di lavoratori stranieri, che malgrado tutte le difficoltà e disagi riescono bene o male ad occuparsi, si stabilizzano, portano qui la famiglia e ricevono solidarietà e aiuto a ben inserirsi con dignità di uomini (e non come pura forza-lavoro da sfruttare) dalla gran parte della popolazione e dalle istituzioni (e a questo proposito ricorderei l’opera svolta agli inizi da don Paolo Antonini e dall’allora sindaco Massimo Araldi per organizzare la Casa dell’Accoglienza e per sradicare dalla nostra comunità la mala pianta della xenofobia, opera che mi pare continui, nonostante tutto, a dare i suoi frutti). I residenti stranieri, tutti regolari, che dunque nel 2001 erano 681, alla fine del 2007 sono saliti a 1599 e, malgrado i problemi che hanno e che suscitano, problemi di lavoro, di casa, d’affitti, di scuola…, non di ordine pubblico, contribuiscono fortemente alla crescita demografica ed economica del nostro territorio.
Con queste rapide osservazioni relative all’oggi vorrei solo esemplificare un fatto ben noto, che cioè le statistiche attraverso il nudo dato numerico permettono di leggere in trasparenza importanti fatti storici, per cui recuperare la sequenza dei mutamenti demografici succedutisi nel nostro territorio non è un semplice esercizio di curiosità erudita, ma è una ricerca che, condotta a fondo, permetterebbe di cogliere rilevanti fenomeni sociali ed economici, i momenti di sviluppo, di decadenza, di trasformazione della nostra comunità.
Io tuttavia mi limiterò qui a mettere in fila alcuni dati relativi alla popolazione offerti dal nostro Archivio, scegliendoli tra i molti disponibili e lasciando ai lettori il compito di interpretare i numeri per trarne le loro conclusioni.
E’ necessaria un’importante premessa sul carattere delle nostre fonti demografiche. Fino all’Unità d’Italia i Comuni non erano dotati di Uffici di anagrafe e stato civile come li conosciamo adesso e i dati statistici sulla popolazione venivano rilevati per due finalità assai diverse: una religiosa e una fiscale e due quindi erano le istituzioni che raccoglievano tali dati: la parrocchia e l’autorità pubblica.
In breve, il Concilio di Trento, concluso nel 1563, aveva decretato che tutti i parroci tenessero dei registri per annotarvi l’amministrazione dei sacramenti ai fedeli in tutto il ciclo che li accompagnava dalla nascita alla morte: il battesimo, la cresima, il matrimonio e le esequie dei defunti; vi era poi un altro registro, che è quello che qui più ci interessa, denominato di “Stato delle anime”, compilato anno per anno, con l’elenco nominativo di tutti i parrocchiani, a partire dagli infanti e raggruppati per nuclei familiari, in cui il parroco segnava se quell’anno ciascuno si era confessato e aveva ricevuto la comunione pasquale, com’era obbligato a fare in base a un decreto di Trento che confermava quanto stabilito nel Concilio Lateranense IV del 1215.
E’ noto infatti che di tutti i fedeli inconfessi e non comunicati nel periodo pasquale veniva redatto un elenco, che veniva letto e affisso nelle chiese e se il fedele rifiutava entro 40 giorni di assolvere il suo dovere di buon cristiano, egli poteva essere scomunicato e denunciato all’autorità secolare. I parroci erano dunque tenuti ad esercitare un severo controllo sull’assolvimento del precetto e a compilare e conservare scrupolosamente questi registri annuali di “Stato delle anime”, che rappresentano per noi dei perfetti censimenti degli abitanti di ciascuna parrocchia. Anche le nostre parrocchie di Santo Stefano (a partire dal 1649) e di San Leonardo (a partire dal 1666) conservano questi registri. I governi austriaci di fine ‘700, napoleonico e del Lombardo Veneto incaricarono i parroci di fungere da veri ufficiali di stato civile e quindi in questo periodo i registri, persa l’antica funzione, risultano particolarmente ben tenuti.
L’altra fonte sono i rilevamenti compiuti a scopo fiscale dallo Stato o dalle Comunità, che avevano bisogno di conoscere il numero e la condizione dei cittadini per imporre una corretta tassazione. Ad esempio, quando lo Stato, per procurarsi forti entrate, cedeva una terra a un feudatario, il prezzo di vendita era fissato in base al numero dei “fuochi”, ossia dei nuclei familiari, e delle “bocche”, cioè degli individui, in essa residenti. Per accertarlo, venivano svolte inchieste e in Casalmaggiore almeno tre volte (nel 1618, nel 1647 e nel 1717) giunsero questi funzionari dello Stato a svolgere un censimento. Altro esempio: fra le altre tasse vi era un’imposta diretta che colpiva tutti i maschi residenti nel contado (e Casalmaggiore era terra separata tutta di contado) dai 14 ai 70 anni, in quanto, si presumeva, produttori di reddito: il cosiddetto “personale” o “testatico”, un’imposta odiosa perché gravava in misura uguale, con l’elevata somma di lire 15 annue, su tutti i cittadini indipendentemente dalla ricchezza (e infatti da metà ‘700 venne ridotta e rimasero soggetti solo i maschi dai 18 ai 60 anni). Anche questo richiedeva una conta degli abitanti. E altri esempi si potrebbero fare. Ma veniamo al nostro tema specifico.
Il Romani (vol. I, p. 281) accenna a un censimento del 1552 che rilevò 1994 fuochi (592 nel centro e 1402 nelle frazioni), ma il primo documento certo si trova nel nostro Archivio Comunale (b. 66, f. 6/4) ed è del 21 marzo 1585: i “ragionati”del Comune attestano il numero preciso dei “focolari” per cui la terra è stata tassata e li distinguono con inconsueta cura per borghi e per ville: vale quindi la pena di riportarlo integralmente. In Casalmaggiore (sono distinti i quattro borghi originari, che cerco di situare schematicamente; sull’antica topografia casalasca si possono vedere varie ricerche di Enrico Cirani: ad esempio, in appendice alle Memorie storiche di Ettore Lodi, Cremona 1992): Castelvecchio (il nucleo più antico, circondato da mura, che, ormai in rovina, vennero del tutto spianate nel 1618; era compreso nel quadrilatero tra via Cairoli verso il Teatro, primo tratto di via Bixio, via Marconi, Piazza): focolari 144, Castelnuovo (vie in fregio al Po dal vecchio Ospedale al termine di via Giordano Bruno): 99, Borgo di sopra (area delimitata da via Baldesio, via Romani, via Guerrazzi, via Cavour, Piazza): 384, Borgo di sotto (tratti finali delle vie Cairoli e Porzio e area intorno a San Leonardo): 166; seguono le Vicinanze: Vicobellignano 173, Vicoboneghisio 83, Agoiolo 50; il totale è di 1099 focolari. Segue l’elenco delle Ville: Villa nuova 121, Rivarolo 242, Brugnolo 17, Gambalone 14, Capella 86, Caminada 64, Motta 37, Vicomoscano 111, Stafolo 98, Quattro case 98, Casalbellotto 234, Roncadello 104, Fossa caprara 48, per un totale nelle Ville di 1314 focolari. Il totale di tutto il territorio è di 2413 focolari. Si conviene che ogni focolare all’epoca comprendeva in media almeno 5 persone, per cui i residenti si possono calcolare intorno ai 12500-13000.
Gli storici concordano che la Lombardia dalla seconda metà del ‘500 fino al 1620 godette di un periodo di benessere e la popolazione appare quindi cresciuta nel 1618, quando venne nuovamente censita per liberare Casalmaggiore dall’infeudazione dei D’ Avalos: al centro, con Motta, vengono attribuiti 5572 abitanti, all’insieme delle Ville 8493, per un totale di 14065 abitanti. I focolari risultano in complesso 2443 (901 nel centro e 1542 nelle Ville).
Subito dopo esplose una devastante crisi economico-sociale (la peste del 1629-30, le guerre, la fame, l’abbandono dei campi…) che durò fin quasi al 1680. Fu senz’altro il periodo più nero della nostra storia ed anche la popolazione subì un vero tracollo: l’inchiesta del 1647 accertò per il centro 685 fuochi, per le vicinanze 214, per le ville 883, con un totale di 1782. Gli abitanti si erano perciò ridotti a circa 9000 e probabilmente meno per il contrarsi dei componenti dei nuclei familiari.
La ripresa avvenne lentamente, ma a fine ‘700 si era ormai consolidata. Il Romani (vol. I, p. 283) riporta per il 1792 una popolazione di 13270 abitanti; un censimento del 1795 calcola per il centro 4727 abitanti e per le Ville 9046, con un totale di 13773. Un’inchiesta, che si trova presso l’Archivio di Stato di Milano, svolta nel 1807, in un periodo in cui Napoleone aveva introdotto un vero culto delle statistiche, censisce 13633 abitanti.
Per chiudere il nostro periplo storico, citerò il terzo censimento dopo l’Unità d’Italia, del 1881, che rilevò una forte espansione demografica, con 4265 abitanti in Casalmaggiore e Vicinanze, e 11383 nelle Ville, per un totale di 15648 (ma quasi 3000 risiedevano in Rivarolo, Brugnolo e Villanova, poi divenute Comune autonomo).
In conclusione però vorrei trascrivere un documento del nostro Archivio (b. 37, f. 3/1) datato 1723, durante la fase d’avvio del famoso catasto concluso da Maria Teresa ed entrato in funzione nel 1760, perché esso, almeno per il centro, descrive non solo il numero, ma anche la composizione degli abitanti.
In Casalmaggiore vengono censiti: Uomini 900, Donne 1105, Figli e figlie (probabilmente i minori di 14 anni) 1363, Preti 66, Padri di S. Francesco 10, Padri di Santa Croce (Barnabiti) 10, Padri della Fontana (Serviti) 8, Padri Cappuccini 12, Monache di S. Chiara 56, Orfani di Santa Trinità 10, Orfane di S. Cristoforo 12. Il totale è di 3552 anime.
Per quanto riguarda le Ville: Quattro Case 419, Roncadello 369, Villa Nova 349, Stafolo 360, Casal Belotto 952, Vico Boneghisio 470, Caminata 339, Brugnolo 251, Capella con Gambalone 422, Fossa Caprara 368, Agoiolo 394, Vico Belignano 780, Vico Moscano 599, Rivarolo 1019. Le Ville hanno quindi 10643 abitanti e l’intero Comune 14015.
Il dato che può maggiormente stupire in questo documento è l’imponente presenza del clero, rappresentato nel solo centro da 66 sacerdoti secolari (attualmente sono 4) e da 96 regolari (oggi non raggiungono la decina) per un totale di ben 162 persone. Ma per spiegare il motivo di questo fenomeno, che non riguarda solo la religione e le vocazioni alla vita religiosa, sarebbe necessario un lungo discorso che forse si potrà fare in altra occasione.