Anche nei secoli passati le istituzioni della Comunità avevano bisogno per funzionare di un consistente apparato burocratico, pur se molto ridotto rispetto ai livelli di oggi, quando le competenze e i settori d’intervento si sono fortemente ampliati e specializzati. Del resto è ovvio che la composizione del personale doveva essere commisurata alle risorse disponibili, allora assai più limitate ed incerte rispetto alle attuali. Tuttavia il complesso degli uffici di Casalmaggiore era abbastanza articolato, in tutto rispondente alle esigenze di un borgo nobile e insigne che aspirava a farsi città; tanto più se lo si confronta con le Comunità del contado, che possedevano di solito solo un console, incaricato di tenere i contatti col centro e di denunciare i reati commessi nel proprio territorio, e un campanaro.
Notizie sparse sui dipendenti e sulle spese che la Comunità sosteneva per il loro salario si possono trovare in numerosi documenti dell’Archivio Comunale, ma io farò riferimento ai due che mi sembrano più completi e insieme caratteristici, in quanto precedono le grandi trasformazioni conseguenti alle riforme asburgiche e rivelano la situazione tipica dell’Antico regime: il primo è datato 13 gennaio 1723 (ASCC, b. 37, fasc. 4/3), il secondo (ASCC, b. 94, fasc. 2/4) non è datato, ma è pressoché contemporaneo, perché fa parte del dossier presentato dal Comune per ribattere le accuse rivoltegli dalle Ville, che denunciavano le spese eccessive fatte dall’amministrazione per un personale utile solo al centro: era una delle ricorrenti controversie, a cui abbiamo già accennato altrove, fra il centro e il contado, e questa si chiuse con un precario accordo nel 1724.
La gestione della cosa pubblica nel territorio casalasco era in primo luogo affidata a una serie di ufficiali nominati direttamente dallo Stato e inviati presso le singole Comunità, per svolgervi funzioni di interesse generale che lo Stato riservava a se stesso. La larga autonomia di cui godevano le amministrazioni municipali riguardava le questioni locali, ma, esattamente come avviene oggi, i maggiori poteri, specialmente quello giudiziario, quello militare, quello dell’ordine pubblico e quello fiscale, rimanevano saldamente nelle mani del sovrano, che li esercitava per mezzo di funzionari che facevano capo alle magistrature centrali milanesi e venivano retribuiti dallo Stato.
Mi limito ad elencare quelli presenti in Casalmaggiore: l’avvocato fiscale, che nei procedimenti giudiziari aveva compiti simili all’attuale pubblico ministero; il referendario che sovrintendeva a tutti i problemi fiscali per conto dell’erario; il capitano delle biade e il capitano del bergantino, che curavano l’esazione dei dazi sulle merci in uscita, in entrata e in transito, rispettivamente per terra e sul Po.
Ma il funzionario statale di gran lunga più importante era il podestà. In sintesi, le sue principali funzioni erano quelle di reggere come supremo responsabile politico la Comunità e di amministrare la giustizia. Normalmente egli era un giureconsulto laureato a Pavia, l’unica Università dello Stato di Milano, frequentata obbligatoriamente da tutti gli studenti lombardi, e, nominato dal Senato, durava in carica due anni. Egli presiedeva il Consiglio generale e controllava la legittimità dei suoi atti; rivestiva poi la carica di giudice, con competenza su tutte le cause penali e civili e le sue sentenze potevano essere appellate solo presso il Senato milanese. Per lo svolgimento delle indagini giudiziarie, l’arresto e la carcerazione degli imputati, la tenuta dell’ordine pubblico, egli dispone di un baricello, l’ufficiale di polizia che ha al suo comando alcuni fanti (sbirri). E’ a carico del Comune la retribuzione sia del corpo di polizia, che riceve complessivamente L. 780 annue, sia del podestà, che percepisce lire 588 annue (che normalmente vanno ad integrare il suo stipendio di senatore) più la casa d’abitazione nel Palazzo pubblico, allora collocato in via Cairoli, nell’attuale sede degli uffici della Provincia, più un carro di legna del valore di L. 12 da ciascuna delle Ville.
I patrizi che siedono nel Consiglio generale e amministrano la Comunità, (delle cui funzioni ho già detto in un precedente articolo, che va tenuto presente per quanto segue), non pesano molto sul bilancio comunale, anche se va precisato che essi godono di vari privilegi ed esenzioni fiscali e non mancano di curare anche i loro interessi dato il pieno e arbitrario governo che essi esercitano sulla cosa pubblica. I consiglieri svolgono il loro ruolo a titolo completamente gratuito, (come del resto avveniva fino a una trentina d’anni fa, quando, a parte il Sindaco impegnato a tempo pieno, tutti gli altri eletti nulla ricevevano, considerando il loro lavoro un servizio pubblico ed onorifico). Quando però a turni di quattro per volta assumono la funzione di deputati del governo (un ruolo simile a quello degli attuali assessori), essi percepiscono L. 14 per il bimestre in cui durano in carica. I tre Prefetti del patrimonio per il loro importante e impegnativo compito hanno un onorario annuo di L. 21 ciascuno. Infine l’oratore che la Comunità mantiene a Milano con compiti particolarmente delicati e alte spese di rappresentanza, percepisce un onorario di L. 3600 per ognuno dei tre anni del suo incarico.
Seguono i veri e propri salariati, che lavorano alle dipendenze del Comune con ruoli esecutivi e sono responsabili dei vari uffici. Una posizione di grande prestigio è quella del Cancelliere, paragonabile all’attuale segretario, che svolge appunto tutte le mansioni di segreteria. Di norma egli è un notaio e gli è affidata la stesura dei verbali delle sedute di Consiglio, delle delibere, della corrispondenza ufficiale, delle lettere per il disbrigo degli affari, delle scritture per le liti. Il suo salario è piuttosto modesto, di L. 168 annue, ma si aggiungono i diritti sulla compilazione e registrazione degli atti, sul rilascio di documenti e di copie ufficiali e altro.
Il Ragionato, con uno stipendio di L. 350, tiene il registro di tutte le scritture contabili, annotando le entrate e i pagamenti fatti dalla Comunità, prepara i capitolati per l’appalto dei dazi comunali e statali e ne cura l’applicazione, compila la lista dei contribuenti con la relativa tassazione; lavora perciò in stretto contatto con l’Archivista, che cura la mappa del territorio e il libro dell’estimo, dove sono descritte le proprietà immobiliari con il loro valore, e vi apporta le necessarie variazioni; il suo salario risulta di L. 210. I due “servitori pubblici”, che svolgono compiti di messi comunali trasmettendo avvisi e comunicazioni, sono a disposizione dei deputati e degli uffici per eseguirne gli ordini, annunciano con le trombe gride, bandi e condanne, convocano le riunioni per l’appalto dei dazi; insieme percepiscono L. 504. Il lavoro del “torreggiano e arlogista” è legato all’alta torre che affianca il palazzo comunale: egli è addetto a suonare la grande campana che convoca il Consiglio e chiama a raccolta i cittadini per qualunque esigenza pubblica, e alla manutenzione dell’orologio che batte le ore; il suo compenso è di L. 96 annue.
Oltre ai diretti dipendenti con mansioni esecutive di cui si è parlato, la Comunità si avvale dell’opera di alcuni professionisti, cui sono affidati compiti di pubblica utilità. Vi è un procuratore legale, che deve difendere le ragioni dell’amministrazione nelle molte cause e liti che essa sostiene contro enti pubblici e contro privati, e funge da avvocato d’ufficio nei processi riguardanti “persone miserabili e poveri carcerati”; la retribuzione è di L. 350 annue. Per tutti i problemi sanitari e igienici la Comunità ricorre a due medici condotti, che devono prendersi cura dei malati di tutto il territorio, prestando un’assistenza anche domestica e, per gli indigenti, gratuita; alle loro cure sono affidati anche l’ospedale degli infermi, gli istituti religiosi e di beneficenza; a ciascuno spetta un salario di L. 1000. Infine la Comunità mantiene due maestri di scuola che insegnano Grammatica e Umanità con un compenso di L. 994. Non si specifica chi siano questi maestri incaricati delle classi iniziali del corso di latino con cui allora si cominciavano gli studi, ma è probabile che fossero due padri barnabiti del Collegio di Santa Croce, che, per una convezione sottoscritta nel 1643 con la Comunità, si erano impegnati a tenere le scuole, prima affidate a maestri laici, a titolo semigratuito e con l’esenzione dai carichi fiscali.
Una figura di salariato in qualche modo anomala è quella del tesoriere, l’ufficiale incaricato di riscuotere tutto il denaro a qualunque titolo dovuto e di effettuare tutti i pagamenti per conto della Comunità. L’ufficio veniva conferito annualmente per pubblico incanto alla persona che offrisse le migliori garanzie e chiedesse il compenso più basso per il suo delicato e rischioso lavoro. Infatti egli riceveva dai Prefetti del patrimonio la distinta dei tributi dovuti da ciascun contribuente e delle somme di cui il Comune era creditore ed era responsabile della riscossione, con facoltà di procedere contro gli eventuali insolventi. Parimenti egli era tenuto ad effettuare con il denaro custodito in cassa tutti i pagamenti ordinati dall’amministrazione. A fine anno doveva rendere conto della sua gestione finanziaria, assumendosi la responsabilità in solido dei debiti e dei crediti. Data l’entità delle somme che manovrava e i rischi che si assumeva, l’appalto veniva ceduto al tesoriere riconoscendogli un compenso elevato: nel documento del 1723 è di L. 1568, nell’altro di L. 840 (ma risulta poco spiegabile questa forte differenza).
Da quest’ultimo si può trarre un interessante giudizio complessivo (per quanto forse un po’ influenzato dalla sua origine, sopra precisata): “La spesa de’ salariati, a proporzione delle fatiche, riesce tanto tenue che reca stupore, come l’accuratezza di quelli che governano l’habbi potuta ridurre a tal segno”.
La Comunità poteva dunque essere contenta dell’impegno profuso da un personale che si accontentava di così poco. Ma anche un importante funzionario inviato dal governo austriaco rilevava nel 1787 una situazione eccellente: “Tutti gli impiegati vengono in ufficio alla mattina al più tardi alle ore otto, vi rimangono sino alle due dopo il mezzodì, ritornano alle cinque, e vi stanno fino alla mezzanotte…Sono tutti capaci e corretti e istruiti. La loro condotta è esemplare, né forzata, ma d’indole e di carattere”. Cosa si poteva desiderare di meglio? L’augurio è solo che una tradizione continui.