Fra i casalaschi insigni per meriti patriottici conseguiti nel periodo risorgimentale esiste un personaggio che è stato completamente dimenticato e non figura in nessuna delle pubblicazioni celebrative dell’Unità d’Italia, né in articoli riferiti all’argomento. Di lui mi è capitato di interessarmi in modo indiretto già in altra occasione, ma nell’attuale clima di rievocazione delle memorie garibaldine legate alla nostra città, con cui meritoriamente la Pro-Loco intende partecipare al centenario dell’Eroe, mi pare opportuno riprendere il tema per approfondirlo, sulla base soprattutto del suo ruolo matricolare esistente presso l’Archivio di Stato di Torino.
Si tratta del conte Ferdinando Busi, fratello del benemerito conte Carlo che morendo nel 1899 lasciò tutte le sue sostanze per la fondazione della Casa di riposo per anziani che tuttora svolge un’essenziale opera di assistenza e di solidarietà sociale.
Ferdinando Busi nacque dunque in Casalmaggiore dal conte Antonio e dalla nobile Luigia Molossi il 10 aprile 1828, penultimo dei dodici figli di una delle casate più antiche ed illustri della città.
A 20 anni decise, come già il fratello Carlo, di intraprendere la carriera militare, mettendosi però al servizio, con scelta totalmente nuova e forse scandalosa per la famiglia, dell’esercito del Re di Sardegna. Partecipò infatti come allievo volontario alla I Guerra di Indipendenza, combattendo contro gli Austriaci nelle campagne sia del 1848 che del 1849. Nel marzo 1849 prestò il giuramento di fedeltà ed entrò come sottotenente nel Corpo dei Bersaglieri. Quando Cavour con lungimirante scelta volle schierarsi a fianco degli Inglesi nella guerra di Crimea, il Busi si imbarcò il 24 aprile 1855 e rientrò in patria nel giugno 1856 meritando un’alta decorazione inglese per il suo valore.
Il movimento risorgimentale entrò nella sua fase risolutiva con la II Guerra di Indipendenza e Busi partecipò a tutte le battaglie con il suo impegno di patriota e di soldato. Il 31 maggio 1559, in seguito al fatto d’arme di Confienza, presso Vercelli, meritò una menzione onorevole “per il sangue freddo e coraggio di cui dava esempio alla Compagnia nel resistere con essa alle preponderanti forze nemiche sotto il vivo fuoco d’artiglieria”. Una seconda menzione onorevole ottenne in seguito al suo “lodevole contegno” nella battaglia di Magenta il 4 giugno. Ma Ferdinando visse il suo maggiore momento di gloria il 24 giugno, quando l’esercito franco- piemontese conseguì la vittoria decisiva nella giornata di S. Martino e Solferino. Il combattimento si svolse su una vasta area ed egli prese posizione con la sua compagnia di bersaglieri sulle alture di Pozzolengo, tra S. Martino e Solferino, battendosi con grande valore, come ben riferisce la motivazione ufficiale che accompagna la Medaglia d’argento al Valor Militare conferitagli nell’occasione: “Investito del comando della Compagnia per la grave ferita toccata al Capitano, seppe col suo coraggio e sangue freddo condurla ad attaccare alla baionetta con pieno successo la forte posizione del nemico”.
Ma la giornata per il nostro Ferdinando non fu solo esaltante di gloria: essa ebbe per lui un risvolto segreto e doloroso di carattere personale, perché nell’esercito austriaco contro cui si batteva era presente suo fratello Carlo.
La vicenda presenta per noi grande interesse sul piano umano, ma anche storico, perché ci rivela quali drammatici conflitti potessero provocare nelle coscienze, anche all’interno della stessa famiglia, le profonde trasformazioni politiche che con tanta rapidità si succedevano in quel periodo.
Carlo Busi era nato nel 1820, appena otto anni prima del fratello, ma bastarono perché le loro esistenze prendessero strade completamente diverse, e contrastanti. Anche Carlo aveva infatti deciso di scegliere la carriera militare, ma, seguendo le tradizioni familiari di totale devozione alla monarchia asburgica tanto benefica verso la Lombardia settecentesca, e mentre ancora taceva ogni istanza risorgimentale, egli si era iscritto a 16 anni all’Accademia Militare di Vienna e aveva servito l’esercito austriaco, sempre con piena lealtà e convinzione, entrando nel Genio, in qualità di ingegnere, e raggiungendo il grado di Maggiore. Visse sempre a Vienna e anche dopo il congedo nel 1863 si trattenne presso la corte come ciambellano e conte dell’Impero, finchè nel 1866, forse anche per esigenze familiari,volle rientrare a Casalmaggiore.
Per singolare coincidenza anche Carlo si distinse per azioni eroiche nella battaglia di S. Martino e Solferino, come attesta il solenne diploma con cui l’imperatore Francesco Giuseppe gli conferì l’Ordine della Corona di Ferro di 3^ classe, un documento in cui, con un cenno che per noi resta misterioso e insieme inquietante, si dice (traducendo dal tedesco): ”Opponendosi alle seducenti proposte e anche alle minacce con cui i suoi parenti e gli agenti del partito sovversivo lo incitavano a combattere per le schiere nemiche, ha conservato imperturbabile la sua fedeltà al dovere durante l’epoca rivoluzionaria dell’anno 1848 e durante i tumulti in Italia dell’anno 1859, compiendo imprese coraggiose”.
Sapevano i due fratelli di trovarsi di fronte come nemici quel fatale 24 giugno, di potersi dare l’un l’altro la morte? Non lo sappiamo, anzi appare improbabile, ma il fatto resta nella sua sostanza e nel suo emblematico significato storico.
Ferdinando, terminata vittoriosamente la guerra, ottenne poco dopo, nel 1861, il grado di Capitano e passò nel più prestigioso Corpo dei Carabinieri Reali, nel quale proseguì la sua carriera fino al congedo nel 1870, ricevendo anche, con Regio Decreto 1 maggio 1868, la Croce di Cavaliere dell’ordine della Corona d’Italia. Da Torino si trasferì in seguito a Verona, dove terminò la sua vita il 9 gennaio 1907. Riposa ora nella tomba di famiglia presso il nostro Cimitero urbano.
Qui il 22 settembre 1899, secondo le sue ultime volontà, il conte Carlo fu sepolto col funerale dei poveri nel campo comune, senza che né iscrizione né recinzione segnalasse il tumulo. Neppure in morte il destino dei due fratelli trovò una conciliazione.