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I poveri di Casalmaggiore in un'inchiesta del 1888


Quando all'indomani dell'Unità l'Italia dovette affrontare gli enormi problemi che comportava la costruzione del nuovo Stato, emerse chiaramente la condizione di povertà e di arretratezza sul piano politico, economico, civile e sociale in cui essa si trovava rispetto alle grandi nazioni europee con cui voleva confrontarsi da pari a pari. A dimostrare lo scarsissimo avanzamento nel processo di modernizzazione economica basti ricordare che nell'Italia del 1861, in base ai dati elaborati da Franco Della Peruta, l'attività produttiva dominante era l'agricoltura, che occupava circa il 70% della popolazione attiva, mentre solo il 18% era addetto alle attività manifatturiere, artigianali ed industriali, a loro volta dipendenti in buona parte dall'agricoltura, e il 12% al terziario. Percentuali che da sole evidenziano le ragioni della forte disoccupazione e del basso reddito che affliggevano gran parte delle classi popolari. In particolare, grazie all'inchiesta del ministro cremonese Stefano Jacini, condotta con eccezionale scrupolo tra il 1877 e il 1885, ben conosciamo quanto misere, precarie e “incivili” fossero le condizioni di vita della popolazione rurale in Italia ed anche nella nostra zona, dove essa, specie nelle frazioni, costituiva l'assoluta maggioranza, mentre accanto alle diffuse attività artigianali, concentrate nel capoluogo, muoveva faticosamente i primi passi l'industria dei laterizi, connessa con lo sviluppo dell'edilizia.
La povertà era una piaga endemica, a cui si cercava di porre rimedio attraverso l'azione dei numerosi istituti di assistenza e beneficenza presenti in Casalmaggiore, attraverso la carità privata ed anche con la repressione dell'accattonaggio e del vagabondaggio perseguita per via poliziesca e giudiziaria, perchè il povero nella società borghese in formazione era considerato un elemento pericoloso, che minacciava con atti di delinquenza, furti e disordini l'ordine pubblico e la sicurezza di tutti.
Sono questi fenomeni ben noti su un piano generale, ma che trovano significativa conferma in un documento rimasto finora del tutto sconosciuto e conservato nel nostro Archivio (ASCC, parte moderna, Beneficenza, cart. 38), che offre un quadro completo e particolareggiato della popolazione di Casalmaggiore nel secondo Ottocento, per quanto attiene il numero, la composizione e l'attività lavorativa degli strati popolari più bisognosi. Considero questa fonte di particolare interesse, perchè restituisce un'immagine quanto mai precisa e statisticamente fondata di una realtà sociale fortemente individuata nel tempo e nello spazio e perciò tanto più importante sul piano conoscitivo. Essa permette diversi livelli di lettura e di analisi, ma anche limitandosi, come io farò in questa sede, ai dati di maggior rilievo, la foto di gruppo che ne esce mi pare di un'evidenza e verità assolute.
Da notare è anche il fatto che il documento riguarda non l'intero Comune di Casalmaggiore, ma il solo centro cittadino, dove la vita economica e sociale era senz'altro più moderna e articolata rispetto alle frazioni e dove il livello di benessere era assai più elevato, in quanto in esso risiedeva tutta la classe dirigente formata da possidenti, professionisti, ceto medio, commercianti, artigiani, che magari traevano la loro ricchezza dalle proprietà agricole in gran parte nelle loro mani, ma si sentivano tutti orgogliosamente cittadini della Regia Città di Casalmaggiore.
Eppure la nostra inchiesta documenta nel modo più chiaro che anche nella realtà discretamente progredita di una tipica cittadina della Bassa padana la povertà e il disagio sociale avevano radici assai estese.
Ma occorre prima di tutto conoscere l'origine di questo documento, per se stessa di grande interesse perchè si lega a personaggi e fatti importanti della nostra storia ottocentesca.
Francesco Chiozzi, di antica famiglia casalese, prestigiosa per aver dato fin dal XV secolo uomini illustri nella vita politica, nella religione, nelle lettere, nelle arti, fu nominato negli anni '40 rappresentante della Municipalità nella Congregazione centrale, un importante organismo politico-amministrativo del Regno Lombardo-Veneto. Si trasferì pertanto a Milano, dove sposò la nobile Giuseppina Bonacossa, che sarà la protagonista della nostra storia.
Infatti Francesco, morendo nel giugno 1852 senza figli, lasciò la moglie erede universale dei beni assai cospicui che possedeva in capitali ed immobili posti anche a Casalmaggiore. Dato il grande amore che nutriva verso la patria d'origine, egli dispose alcuni lasciti immediati di beneficenza verso i poveri di Casalmaggiore e inoltre che la vedova, usufruttuaria a vita di tutte le sue proprietà, ne rilasciasse alla sua morte una parte con lo scopo di fondare in Casalmaggiore un ospizio per accogliere, nutrire, allevare i bambini esposti ed abbandonati. Per sua fortuna la vedova ebbe una lunga vita, si risposò con un Raiberti di Milano da cui non ebbe figli e che morì prima di lei, e infine venne a morte il 2 maggio 1888, per cui la pratica del brefotrofio voluto dal Chiozzi rimase per lunghi anni in sospeso e l'istituto potè essere aperto soltanto nel 1890.
In precedenza, dieci anni dopo la fine del marito, era morto nel 1862 suo fratello Luigi Chiozzi, anch'egli distintosi in molte cariche pubbliche e rientrato poi in Casalmaggiore, il quale, non avendo discendenza diretta, lasciò erede universale del suo ancor più ricco patrimonio la cognata signora Bonacossa, gravandola però di molti oneri e mandati, anche a favore dei poveri della sua terra e in particolare della fondazione di un asilo infantile che, sul modello di quelli fondati fin dal 1830 dal sacerdote cremonese Ferrante Aporti, doveva accogliere gratuitamente i bambini poveri di Casalmaggiore dai 3 ai 7 anni, educarli, istruirli, nutrirli, per poi rimandarli in famiglia alla fine della giornata. La signora Bonacossa diede immediata esecuzione a questo mandato e consegnò agli amministratori designati dallo stesso Chiozzi, il sindaco e i due parroci casalesi, i beni destinati all'istituzione, la cui rendita doveva assicurarne il funzionamento: L. 197.000, corrispondenti grosso modo a 1 miliardo e 700 milioni di lire d'oggi (872.000 euro).
Inoltre la signora, mossa da giusta riconoscenza verso il marito e il cognato, fece sistemare l'edificio di via Cavour che doveva ospitare l'ospizio degli esposti voluto da Francesco, quando ella fosse morta, ponendovi anche un bel busto e una lapide in sua memoria, e ornò il sepolcro di Luigi nel nostro cimitero di una bella epigrafe tuttora in loco.
Per dimostrare poi la sua gratitudine e il suo affetto verso i due defunti ed anche verso la loro patria, per pura generosità e senza alcun obbligo, la Bonacossa nel proprio testamento del 1885 dispose un legato di L. 6000 da distribuire una volta tanto “alle famiglie povere della città di Casalmaggiore”, incaricando dell'esecuzione il sindaco e l'abate parroco di Santo Stefano.
Il 2 maggio 1888 la signora morì e subito il sindaco avv. Costantino Poltronieri e l'abate mons. Giuseppe Grossi ricevettero la notizia dell'importante ed inattesa donazione, che tradotta in lire attuali corrispondeva alla ragguardevole somma di circa L. 47.680.000 (246.280 euro). Riconoscenti, essi si misero immediatamente all'opera e chiamarono a collaborare con loro l'assessore cav. Pietro Vallari e il fabbriciere Francesco Recusani; si formò così una commissione che procedette con il massimo impegno e celerità a mettere in atto il mandato.
Si trattava di un compito tutt'altro che semplice, perchè si dovevano selezionare tra tutta la popolazione di Casalmaggiore le famiglie più povere e meritevoli del sussidio e ciò comportava un esame approfondito delle condizioni economiche di ciascuna. Per prima cosa la commissione, interpretando alla lettera le disposizioni della benefattrice, decise che la scelta si compisse tra le sole famiglie del centro urbano, esteso fino alle Vicinanze e a Motta S. Fermo, con l'esclusione delle frazioni. Oltre ai capifamiglia cui il Comune aveva già in precedenza rilasciato il certificato di povertà perchè potessero godere dei benefici dell'assistenza pubblica, vennero compresi i “poveri vergognosi”, di famiglie decadute o ridotte in miseria per particolari disgrazie, che nascondevano le loro condizioni non ricorrendo al soccorso pubblico. Vennero invece esclusi dal beneficio quelle che possedevano beni immobiliari o che ritraevano dal loro lavoro un guadagno fisso e continuato in denaro o in natura.
Valendosi dei registri anagrafici e di un'indagine capillare, venne definito l'elenco delle famiglie indigenti, ma per maggiore scrupolo la commissione stabilì che non si poteva dare a tutte il medesimo sussidio e che occorreva differenziarlo secondo il grado di bisogno. Pertanto esse vennero divise in quattro categorie in base a precisi criteri: nella prima erano comprese quelle numerose con il padre o altri membri ammalati o vecchi o inabili al lavoro, nonché le vedove con figli; nella seconda i poveri privi di famiglia e di altri sostegni, specialmente vecchi o privi di lavoro; nella terza le famiglie numerose con padri disoccupati; nella quarta quelle bisognose, ma non numerose e con il padre o altri membri forniti di lavoro.
A conclusione della complessa indagine, conclusa a tempi di record in pochi mesi, venne compilato un elenco di 586 famiglie, fra le quali si doveva ripartire la somma disponibile di L. 5926,81, comprensiva degli interessi maturati presso la Banca Agricola e detratte le spese di L. 114 per stampati e il compenso agli incaricati che consegnarono a domicilio il sussidio il 10 gennaio 1889.
La commissione in data 24 gennaio 1889 rassegnò poi la relazione finale sul proprio operato, firmata dall'assessore anziano Lorenzo Bussani in luogo del sindaco e dagli altri tre membri, accompagnata dall'elenco completo delle famiglie che erano state beneficate, precisando di aver agito con la maggior cura e imparzialità possibili per non trascurarne nessuna e di aver deciso la pubblicazione dell'elenco, forse sgradita a qualcuna di esse, che avrebbe preferito tener segreta la propria condizione, per testimoniare la propria correttezza e mossa “dalla necessità di distruggere insinuazioni maligne per mostrarle prive di ogni fondamento”.
Grazie quindi alla loro scrupolosa indagine, noi oggi abbiamo un quadro sociologico perfettamente delineato dei poveri di Casalmaggiore nel 1888 e più in generale della società casalese del tempo con le sue gravi carenze e difficoltà.
L'elenco allegato al resoconto finale riporta in ordine alfabetico il nome del capofamiglia e la sua paternità, la via e il numero civico della residenza e l'entità del sussidio ricevuto. Da esso apprendiamo che le famiglie povere della prima categoria, le più gravemente indigenti, erano 42 (e ad esse spettò un sussidio di L. 18), quelle assegnate alla seconda categoria erano 189 (con un sussidio di L. 12), quelle di terza 226 (con un sussidio di L. 10), quelle della quarta infine , in numero di 125, ricevettero L. 5 ciascuna. Minime somme furono assegnate ad altre quattro famiglie, per cui il loro totale risultò, come ho detto, di 586. E' cosa ovvia, ma vale la pena sottolinearlo, che la commissione avrebbe potuto restringere il numero delle famiglie da assistere, elevando la quota spettante ad ognuna, e che quindi quelle inserite nell'elenco vanno considerate realmente e “ufficialmente” povere e bisognose di sostegno economico.
Insieme a questo elenco “ufficiale” esistono altri documenti preparatori, stilati dalla commissione nel corso della sua inchiesta, tra i quali uno riassuntivo del massimo interesse, perchè, oltre i dati presenti nell'altro, riporta il numero dei componenti di ogni nucleo e l'attività lavorativa del capofamiglia.
Questo elenco comprende 555 famiglie e, computando tutti i loro membri, si ottiene un totale di ben 1722 persone dichiarate povere. Tale numero è da confrontare con il totale dei residenti in Casalmaggiore, che in base al censimento più vicino, che è quello del 31 dicembre 1881, dato che nel 1891 non venne svolto, risulta per il capoluogo di 3695 abitanti (1770 maschi e 1925 femmine). Ciò significa che i poveri costituivano il 46.60% della popolazione e se si tiene conto delle 31 famiglie qui non considerate, ma presenti nell'elenco finale, la percentuale supera abbondantemente il 50%.
Le famiglie sono composte in media di 3,10 membri ciascuna, ma numerose sono quelle formate da una sola persona, tra cui molte vedove; la gran parte ha tra due e cinque componenti, ma piuttosto frequente è anche un numero superiore, fino a un massimo di 11.
Passando a considerare le attività lavorative, non ho rilevato alcuna particolare correlazione tra le maggiori condizioni d'indigenza attribuite ai 42 capifamiglia cui venne erogato un sussidio di 18 lire, e determinati mestieri, segno che tutti quelli praticati a questo livello erano esposti, se intervenivano circostanze avverse, al rischio della povertà.
L'inchiesta ci offre un ampio catalogo dei lavori svolti in quell'epoca dalle classi popolari di più modesta condizione sociale ed economica. Gran parte delle donne che risultano capifamiglia sono qualificate come “casalinghe”, che infatti numericamente è il mestiere più praticato (78 casi), ma fra esse non mancano domestiche, cucitrici, stiratrici, lavandaie, un'infermiera, una sarta, che è lavoro prevalentemente maschile, e perfino una boscaiola e una “dentista”, termine che non so bene come interpretare.
Fra gli uomini prevale il lavoro del contadino (60 casi), esercitato soprattutto da chi abita nella fascia suburbana, ma anche all'interno della città vi sono spazi coltivati da ortolani, erbivendoli, fruttivendoli...Molti sono gli uomini che si offrono per lavori di fatica: giornaliero (37 casi), facchino (22 casi), carrettiere (13 casi) e poi l'ampia gamma dei servitori domestici. Il Po offre il lavoro a 23 barcaioli, qualifica che forse comprende anche i pescatori, che figurano nell'elenco con una sola occorrenza. Nell'edilizia sono impegnati 20 muratori, mentre i veri e propri operai sono rappresentati dai 9 “stoviglieri”, che lavorano nelle piccole fabbriche locali di stoviglie e terraglie, e dai 7 garzoni prestinai. Molti sono gli artigiani autonomi, troppo numerosi forse per trarre dalla loro bottega sufficienti mezzi di sostentamento: i calzolai sono 34, i falegnami 24, i sarti 14, i fabbri 7, i barbieri 6 e poi tutto un variegato mondo di mestieri oggi scomparsi: maniscalco, sellaio, materassaio, battilana, bigonciaio, “illuminatore”, cioè addetto all'accensione serale dei pochi lampioni a petrolio dell'illuminazione pubblica (su cui v. Francesco Sanfilippo, L'illuminazione pubblica e l'arrivo dell'energia elettrica, in V. Rosa (a cura di), L'età progettuale, Casalmaggiore 2006, pp. 125-29).
Tra questi poveri troviamo anche lavoratori che certo non ci aspetteremmo in questo elenco: un maestro elementare, un orefice, un violinista, un tale pomposamente definito “pedagogo”, due osti, due ex mercanti e altri che certo nascondono storie individuali che sarebbe bello conoscere.
Non meraviglia invece incontrare 6 mendicanti di professione. Da segnalare che in alcuni casi il mestiere non viene precisato.
Una completa tabella statistica dà un'interessante mappa dei lavori allora esercitati dai capifamiglia poveri che trovarono soccorso nella carità di una sconosciuta gentildonna milanese.

Casalinga 78Fabbro 7Mediatore 3
Contadino 60
Mendicante 6Boscaiolo/a 3
Giornaliero 37Barbiere 6Pollivendolo/a 3
Calzolaio 34Erbivendolo 5Verniciatore 3
Falegname 24Stalliere 5Accalappiacani 2
Barcaiolo 23Servente 5Battilana 2
Facchino 22 Tessitore/tessitrice 4Cuoca 2
Muratore 20Domestica 4Lattonaio 2
Sarto 14Stiratrice 4Maniscalco 2
Carrettiere 13Vetturale 4(già) Mercante 2
Fruttivendolo/a 12Infermiere 3Necroforo 2
Domestico 10Bracciante 3Oste 2
Stovigliere 9Illuminatore 3Sellaio 2
Ortolano 8Cucitrice 3Spazzino 2
Garzone prestinaio 7Lavandaia 3Stiratrice 2
Tagliapietre 2

I seguenti mestieri hanno una sola occorrenza:
Berrettaio, Bidella, Bigonciaio, Bilanciaio, Bottaio, Cameriere, Cocchiere, Copista, Dentista (?), Formaggiaio, Garzone di caffè, Garzone di tipografo, Giardiniere, (già) Guardia comunale, Infermiera, Inserviente orfane, Lattivendola, Legatore libri, Levatrice, Macellaio, Maestro elementare, Manovale, Materassaio, Ombrellaio, Orefice, Orologiaio, Parrucchiere, Pastore, Pedagogo, Pensionato, Pescatore, (già) Portalettere, Portiere orfane, Portiere Ospedale, Pubblico pesatore, Sagrista, Sarta, Scrivano, Servitore, Sguattero, Sorbettaio, Tipografo, Vende fiammiferi, Vende giornali, Vendita liquori, Vendita polvere, Violinista.

Archivio Storico Comunale di Casalmaggiore, parte moderna, Beneficenza, b. 38
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Pubblicato su "Casalmaggiore", bimestrale a cura
dell'Associazione Pro Loco di Casalmaggiore
Ottobre 2011

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