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Il 1848 a Casalmaggiore: l'alba breve della libertà
(parte seconda)


Il libro di memorie del Visioli, lo abbiamo già visto nel precedente articolo, fa scorrere davanti ai nostri occhi la cronaca pura e semplice dei fatti, senza alcuna particolare elaborazione, rappresentati anzi con l'animo un po' ingenuo e stupito del ragazzo di 12 anni che vi aveva partecipato.
In quell'agitarsi di folle tra canti e squilli di banda essi certo acquistano talora al nostro sguardo freddo e smagato un lieve sapore di operetta, e tuttavia mi sembra che queste pagine siano importanti, perchè restituiscono con singolare evidenza la sostanza storica più profonda di questi avvenimenti, e cioè che l'idea di unità e libertà della patria italiana era ormai diventata senso comune, era penetrata nell'animo di tutta la popolazione e, aldilà d'ogni differenza di età, di professione, di posizione politica ed ideologica, di cultura, di ceto sociale, era capace di appassionare, di mobilitare, di spingere in piazza gran parte degli abitanti di un piccolo centro di pigra provincia come Casalmaggiore, di farli agire e decidere con energia e prontezza il proprio destino.
L'idea nazionale poteva insomma assumere le forme contingenti dettate dall'emozione di un giorno, ma aveva messo radici profonde ormai insopprimibili. Essa avrebbe certamente provocato in seguito divisioni tra partiti ed ideologie diverse, com'è del resto naturale in ogni sana democrazia, ma nella sua essenza non sarebbe più stata messa in dubbio da nessuno, se non dalle frange più oscurantiste e reazionarie, non del tutto scomparse neppure oggi. Anche se per la verità, in questo 150° anniversario dell'Unità sembrano perdere ogni incidenza e autorità culturale certe scomposte invettive contro il Risorgimento, contro la monarchia sabauda, contro Garibaldi, contro la democrazia liberale, che venivano agitate dai nostalgici del papa-re o della tirannide borbonica, come pure dai sostenitori di un cupo regionalismo xenofobo.

Avevamo lasciato la nostra città tutta in festa alla fine della storica giornata del 22 marzo, quando la fuga degli Austriaci aveva portato all'insediamento di una nuova Municipalità democratica e i molti liberali casalaschi, prima costretti alle cospirazioni segrete, avevano preso la guida dell'insurrezione.
Nei giorni successivi giunge a Casalmaggiore l'eco attenuata delle vicende milanesi, dell'intervento sabaudo e dell'inizio della guerra, ma perdura anche l'euforia per la riacquistata libertà. Per le 11 del 30 o 31 marzo (il Visioli non ricorda bene la data) il clero che sull'esempio del papa benedice la rivoluzione patriottica, indice in accordo con la Municipalità una solenne cerimonia di ringraziamento col canto del Te deum. Un manifesto viene esposto per annunciare l'evento e in preparazione l'improvvisata Guardia civica formata da un centinaio di cittadini viene dotata di una sommaria uniforme, in cui spicca un berretto rosso e verde filettato di bianco, e viene immediatamente convocata per ricevere qualche rudimentale istruzione militare che le conferisca un certo aspetto marziale. La comanda il capitano napoleonico già conosciuto, che, appesantito nel fisico dagli anni e stretto nella sua antica divisa, con tutte le sue decorazioni e la gloriosa Legion d'Onore francese, un enorme colbacco, i fregi e lo spadino con cui impartisce gli ordini, assume un aspetto in verità più comico che eroico.
In ogni modo alle 10 del giorno designato sotto il portico della Piazza Grande i tamburi rullano a raccolta, i cento della Guardia civica sfilano in parata con il maggior ordine possibile, dal Palazzo comunale esce solennemente il nuovo corpo municipale e il corteo muove al suono della banda verso il tempio di Santo Stefano (ancora in costruzione e ben lungi dall'essere terminato) tutto addobbato all'interno e all'esterno con i tre colori nazionali. Di fronte a un'immensa folla un sacerdote, professore di retorica al ginnasio, sale sul pulpito e tiene un'infiammata predica sul tema “Patria e Religione”, chiusa dall'appello “All'armi, all'armi tutti, Dio lo vuole, lo vuole il suo infallibile rappresentante in terra Pio IX, lo vuole l'Italia ridestatasi dal suo ignominioso servaggio”.
La guerra intanto incombe e da Milano giunge in quei giorni un appello del Governo provvisorio che chiama i giovani a presentarsi numerosi per essere istruiti militarmente ed essere avviati a combattere insieme all'esercito piemontese contro l'Austria. Subito si offrono una sessantina di volontari, tra cui i due fratelli maggiori di Tullio: Eucherio, lo studente di Padova, e Mirocleto, il chierico pentito. Istruiti dal solito capitano, essi per due o tre giorni si esercitano a marciare inquadrati e poi, con tal preparazione, accompagnati dai parenti orgogliosi e insieme dolenti, da una turba di cittadini e dall'immancabile banda, partono per la guerra. Fra essi Visioli ricorda alcuni che si erano arruolati per desiderio d'avventura e magari di saccheggio, ma che subito individuati per la loro indisciplina, vengono allontanati e minacciati di punizione; ma soprattutto traccia il commosso ritratto di un giovanissimo operaio tipografo che anima i compagni col rullo del suo tamburo e che va incontro a un triste destino, perchè sarebbe morto poco dopo in battaglia.
Nei giorni successivi i casalesi seguono con ben comprensibile apprensione le vicende della guerra, che però si svolge lontano e non tocca la città se non per l'arrivo dalla metà d'aprile all'inizio di maggio di reparti militari formati da regolari e da volontari in prevalenza toscani, che si dirigono verso Mantova, fra cui i famosi professori e studenti dell'Università di Pisa, che poco dopo avrebbero ricevuto un sanguinoso battesimo del fuoco a Curtatone e Montanara. La divisione, di circa 5000 uomini, era suddivisa in battaglioni, ciascuno dei quali giungeva al mattino a Casalmaggiore, si fermava quel giorno e il seguente per ripartire il mattino dopo. Non si può descrivere l'entusiasmo con cui questi soldati vengono accolti dalla città tutta imbandierata e festante: non potevano neppure dormire nelle caserme loro assegnate, perchè gli abitanti facevano a gara per ospitarli nelle loro case private e li riempivano d'ogni ben di dio. Visioli dodicenne partecipa con gioia a queste feste che animano per tutto il periodo le vie e i locali pubblici del paese, anche se ora, rivedendole a distanza con l'occhio del bersagliere di carriera, le giudica una “gazzarra” poco degna d'un esercito serio.
Intanto ai primi d'aprile accade l'episodio che segna per sempre la vita del nostro Visioli. Si sparge infatti la notizia che un battaglione del famoso corpo dei bersaglieri, al comando del suo stesso fondatore, il generale Alessandro Lamarmora, deve passare attraverso le vie di un vicino Comune. Moltissimi casalaschi si mobilitano e numerose brigate a piedi o in calesse partono all'alba per esser presenti all'evento. Anche Tullio, insieme al padre e a un fratello, non può mancare e attende impaziente finchè il “gloriosissimo corpo” non passa davanti a lui tra squilli di trombe e nuvole di polvere: è un attimo, ma questa visione si imprime indelebile nel suo animo di ragazzo e lo induce a prendere l'irrevocabile decisione d'essere anche lui bersagliere.
Nei mesi seguenti nulla di significativo accade in Casalmaggiore, anche se non viene meno il fervore patriottico e anche i giovani studenti del ginnasio continuano a svolgere ogni giorno un paio d'ore di preparazione e di esercizi militari sotto la guida d'un istruttore. Ma tutti vivono soprattutto nell'ansiosa attesa di conoscere l'esito della guerra.
Che, quando giunge, è catastrofico, perchè il 25 luglio a Custoza l'esercito piemontese subisce una totale disfatta. Carlo Alberto deve ripiegare verso il Ticino e si apre in Milano il doloroso contrasto tra il re e le forze moderate che vogliono concludere al più presto la guerra, e le forze democratiche e repubblicane, che vorrebbero invece resistere a oltranza contro l'esercito austriaco che preme verso la città. Il generale Salasco firma però il 9 agosto l'armistizio che, per espresso accordo con Radetzky, consente a chi vuole seguire il re di recarsi in esilio in Piemonte.
Anche in Casalmaggiore il contraccolpo è terribile. Gli Austriaci già i primi giorni di agosto rientrano nella città e per prima cosa distruggono tutte le insegne e gli stemmi ancora freschi dei colori italiani bianco, rosso e verde. Si teme una repressione violenta e gli abitanti si chiudono nelle loro case, ma invece tutto si svolge con fredda efficienza. Giunge uno squadrone a cavallo che va dritto al Comune e il capitano chiede di far venire l'antico podestà, che per mesi era scomparso, per concordare con lui la sistemazione delle truppe nelle caserme. Arrivano poco dopo le truppe che occupano la città e la massa della plebe si schiera subito col vincitore, anzi non manca chi spera che i soldati si diano al saccheggio per avere il pretesto di entrare a rubare nelle case della ricca e odiata borghesia.
Anche il clero, seguendo la svolta antiliberale di Pio IX, torna in maggioranza ad inneggiare all'Austria e all'alleanza trono-altare e celebra con un nuovo Te deum il ritorno dello straniero. Un proclama subito affisso per le vie impone totale obbedienza alle autorità, minaccia la confisca dei beni, bastonature in pubblico e pene fino alla morte per i ribelli, ordina la consegna delle armi e la denuncia da parte delle famiglie dei figli o parenti assenti dalla città o militanti nell'esercito piemontese. Vengono compiute brutali perquisizioni nelle case dei più noti liberali, fra cui un droghiere, che aveva un figlio di 17 anni partito volontario e un altro di 12 anni che aveva acquistato una “pistolaccia” da uno dei soldati passati per Casalmaggiore; questa viene scoperta nascosta sotto un mattone all'insaputa del padre, che però viene arrestato e tenuto in carcere per mesi, finchè il processo si conclude con la sua “non provata reità”.
Nessuna ripercussione ebbe invece in Casalmaggiore la ripresa della guerra nel 1849, conclusa con la sconfitta nella “fatal Novara”, se non un gran movimento di truppe austriache nella città, dove palazzi, scuole, chiese, cascine vennero militarmente requisite per dar alloggio ai soldati.
Spento ogni fermento di lotta nazionale, tutta la Lombardia ritornò sotto la cappa dell'oppressione straniera, resa ancor più feroce dal fatto di sapersi odiata. A Cremona vennero composti versi, riportati sul quotidiano “La Provincia” del 1 dicembre 1899, che, con tipico afflato risorgimentale, ben ritraggono la situazione:

“V'à un paese che un giorno era una reggia,
Era un giardino ed ora è un cimitero;
Ai quattro lati tristemente ondeggia,
Vessil di morte, un drappo giallo e nero” (ovviamente la bandiera austriaca).

A partire dall'agosto 1848 tutti i cittadini che avevano sostenuto il moto liberale e democratico, furono costretti ad espatriare in Piemonte per sottrarsi alle persecuzioni e per poter continuare la loro battaglia politica nello Stato costituzionale che si era ormai messo a capo del movimento risorgimentale. Si trattava della parte migliore della classe dirigente e Radetzky cercò di recuperarli usando metodi concilianti: il 1 agosto '48 emanò da Sesto Cremonese un proclama in cui prometteva l'amnistia a chi rientrasse entro 15 giorni e riconsegnasse le armi, minacciando l'accusa di tradimento e la condanna a morte a chi proseguisse le ostilità. L'appello rimase del tutto inascoltato e poiché l'esodo proseguiva, alcuni mesi dopo, il 25 gennaio '49, il Delegato provinciale di Cremona dell'I.R. Governo emanò un altro proclama dai toni duri e ultimativi, rivolto in particolare contro “i giovani appartenenti a questa Provincia che senza autorizzazione della competente Autorità si recano all'estero ed entrano in servizio Militare contro l'Austria”. Essi sono invitati a ritornare entro sei settimane, altrimenti i loro beni saranno confiscati e se arrestati saranno puniti per alto tradimento.
Ma vi è un motivo che conferisce al documento un particolare interesse storico: esso infatti si conclude con un: “Elenco degli individui che si allontanarono da questa città e provincia e si recarono all'estero”. L'elenco comprende ben 295 nominativi, dei quali 154 di Cremona, 67 di Casalmaggiore, 41 del distretto di Cremona, 18 del distretto di Casalmaggiore (molti di Spineda, ma anche di Gussola e Martignana) e 15 del distretto di Pescarolo. Il documento è stato edito sul quotidiano “La Provincia” del 1 dicembre 1899 e poi in Alfonso Mandelli, Cremona nel quarantotto, Cremona 1901
Questi patrioti, che scelsero la non facile via dell'esilio, certo formavano il nucleo più compatto e convinto del partito risorgimentale e quindi vale la pena conoscerli più da vicino, anche per capire qual era la sua composizione in Casalmaggiore. Riporto dal proclama austriaco l'intero elenco dei 67 nomi, quasi sempre seguiti dall'età e dalla professione:
1 Bizzarri Ferdinando, 23, libraio – 2 Vajni nob. Raimondo – 3 Vajni Carlo – 4 Cavalli Giulio, 26, dottore in legge e possidente – 5 Bojna Angelo, 26, ingegnere possidente – 6 Miglio Marcello, 36, notaio e possidente – 7 Casazza Carlo, 54, possidente – 8 Contini Luigi, 30 – 9 Contini Vincenzo, 18, studente – 10 Andreani Enrico, 26, possidente – 11 Uccelli Giuseppe, 36, domestico – 12 Mosca Giuseppe, dottore, possidente – 13 Beduschi Antonio, 18, prestinaio garzone – 14 Biolchi Giovanni, 30, commesso spedizioniere – 15 Moretti Eugenio, 22, giovine di negozio – 16 Scuttellari Gio. Roberto, 22, calzolaio – 17 Storti Carlo Eugenio, 22, studente e possidente – 18 Rosignoli Francesco, 22 – 19 Devincenzi Lino Giuseppe, 22 – 20 Ferrari Ventura, 22 – 21 Gozzi Giovanni Maria, 23 – 22 Verdi Raffaele, 23, studente e possidente – 23 Finardi Carlo, 23 – 24 Contini Filippo, 23 – 25 Bini Santo, 23 – 26 Busi nob. Ferdinando – 27 Bizzarri Alessandro, 21 – 28 Fantini Luigi, 21 – 29 Oliviero Alessandro, 21 – 30 Delvò Alessandro, 26 – 31 Maffei dottor Angelo, 26, medico – 32 Luzzara Pietro, 26 – 33 Luzzara Giuseppe, 26 – 34 Verdi Giuseppe, 21, possidente – 35 Fantini Carlo, 24 – 36 Bravetta Giovanni, 50 – 37 Corsi Antonio, 38 – 38 Ferrari Federico, 20 – 39 Visioli Miricleto, 18 – 40 Bellinetti Bianchi Baldassare, 28 – 41 Jaffari Angelo, cursore – 42 Cavalli Angelo di Marco, possidente – 43 Contini Rainerio, 30 – 44 Mazzoleni Giovanni, 27 – 45 Bianchi Casilippo, 18 – 46 Luzzara Giovanni, 19 – 47 Rossi Amedeo, 18 – 48 Silvestri Pietro, 20 – 49 Doli Capuzzi Cesare, 22 – 50 Vicini Cesare, 22 – 51 Sartori Annibale, 22 – 52 Tentolini Luigi, 22 – 53 Caleffi Paolo, 22 – 54 Bertolotti Timoteo, 22 – 55 Baschi Giuseppe, 23 – 56 Lazzarini Pietro, 23 – 57 Bini Pietro, 23 – 58 Defendi Angelo, 23 – 59 Sanfelici Angelo, 20 – 60 Gozzi Gedeone, 33 – 61 Cerati Luigi, 36 – 62 Finardi Benvenuto, 24 – 63 Uccelli Giulio, 21 – 64 Aroldi Leopoldo, 18 – 65 Schiavetta Antonio, 26 – 66 Bernardi Pietro, 18 – 67 Favagrossa Pietro, 36.
La prima cosa che colpisce è l'alto numero di questi patrioti esuli, soprattutto in rapporto alla popolazione cittadina che allora era di poco superiore ai 4000 abitanti, visto che si può ritenere assai ridotto l'apporto delle frazioni. Se ne può dedurre con ragionevole certezza che il partito liberale nelle sue varie tendenze poteva contare in Casalmaggiore su una presenza di centinaia di sostenitori.
In secondo luogo è da notare la giovanissima età di gran parte di questi esuli ed è certo estremamente significativo che tanti ventenni sentissero una così forte passione politica e patriottica, perchè in effetti l'entusiastica adesione dei giovani fu la caratteristica più bella e vincente del nostro Risorgimento. Non si deve però trarre la conclusione che al movimento non partecipassero uomini di tutte le età, perchè è evidente che la gran parte dei profughi intendevano entrare nelle file del volontariato o dell'esercito piemontese, che richiedevano dei giovani, senza dire che questi erano senz'altro più liberi e disposti ad espatriare, non avendo in genere impegni di famiglia e di lavoro. Di grande interesse è piuttosto notare l'articolata composizione sociale dei patrioti, che comprende nobili e artigiani, possidenti e garzoni, professionisti e studenti.
Insomma anche questo limitato campione casalasco conferma quanto tutti gli studi vanno dimostrando: che il Risorgimento fu ampio movimento nazionale a cui presero parte tutte le classi sociali, tranne buona parte dei contadini (ma questa assenza è un problema che richiede una pluralità di approcci e di spiegazioni, ed in parte è ancora sub iudice).

F. Hayez, La Meditazione (L’Italia nel 1848), Verona, Civica galleria d’arte moderna
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Pubblicato su "Casalmaggiore", bimestrale a cura
dell'Associazione Pro Loco di Casalmaggiore
Settembre 2011

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