Nel 2011 l'Italia compie 150 anni e certo la ricorrenza non può essere trascurata nemmeno da questa rubrica, che vorrei, se sarà possibile, dedicare almeno per quest'anno alla memoria di un anniversario che ha significato realmente anche per Casalmaggiore l'inizio d'una nuova storia.
Resterà immutata invece la formula, che è quella di prendere spunto da documenti presenti nel nostro Archivio Storico Comunale, perchè di qui bisogna partire per fare vera storia e perchè essi formano un patrimonio largamente ignorato, che attende pazientemente cultori, studenti e studiosi. Noterei a questo proposito che da alcuni anni ormai tengo questa rubrica, ma mai nessuna scuola o nessun insegnante ha chiesto di visitare l'Archivio con la propria classe, di conoscerne i contenuti, di discutere o approfondire un tema... Un po' di coraggio e di sana curiosità intellettuale non credo che guasterebbero...
Per parlare del nostro Risorgimento non dovrò far altro che spostare la mia ricerca dai faldoni contenuti nella “parte antica” dell'Archivio a quelli della “parte moderna”, che va dal 1800 al 1897, ricca di ben 186 cartelle, più disordinata e composita dell'altra, ma forse anche più attuale e aperta a nuove scoperte.
Naturalmente si tratta non di dar fiato alle trombe della retorica patriottarda e dell'enfasi celebratoria, ma di guardare con giusto orgoglio e consapevolezza al nostro passato, di ritrovare nella coscienza profonda della nostra identità di nazione le ragioni dello stare insieme in una patria comune, di superare i particolarismi e gli egoistici interessi di individui, di fazioni, di territori, di instaurare, nella pur accesa dialettica ideale e politica, rapporti di convivenza più civili e solidali, più rispettosi della dignità e delle ragioni degli altri, della legalità e del bene pubblico, con la volontà di costruire insieme un futuro meno asfittico e deprimente di quello che sembra oggi incombere su di noi.
A stimolare questa riflessione e questa speranza può essere utile anche ripercorrere alcune vicende della Casalmaggiore risorgimentale, iniziando dai giorni che videro la trasformazione di Casalmaggiore da “Regia Città”, soggetta all'oppressivo dominio austriaco, in comunità che, attraverso le continue riunioni e deliberazioni dei suoi organismi democratici e con la viva partecipazione dell'intera popolazione in tutte le sue componenti sociali, liberamente scelse di far parte della nuova Italia che andava nascendo.
Dobbiamo riportarci al 29 aprile 1859, quando, attirato nella trappola tesagli con impareggiabile genialità diplomatica e strategica dal Cavour, l'esercito austriaco penetrò in Piemonte, facendo scattare, in base all'accordo di Plombières, l'intervento in guerra di Napoleone III a fianco del Regno di Sardegna. L'arrivo dell'armata francese fece ripiegare gli Austriaci verso il sicuro Quadrilatero e quindi Vittorio Emanuele II e Napoleone poterono entrare trionfalmente in Milano l'8 giugno, mentre Garibaldi al comando dei volontari raccolti nei “Cacciatori delle Alpi” liberava Varese, Como, Bergamo e Brescia, accolto dovunque col tricolore dalle folle in delirio dei “lumbard”, che sarebbero poi confluiti in massa nelle file garibaldine (rinuncio ad ogni paragone con il presente, che sarebbe sconfortante).
Ma fu tutta la Lombardia immediatamente a insorgere e a manifestare il proprio entusiasmo per la fine del giogo straniero. La guerra era certo ben avviata, ma ancora incerta e non vi era nessuna sicurezza che si sarebbe conclusa vittoriosamente, come avvenne solo con la battaglia di Solferino e San Martino del 24 giugno. Anzi tutti ricordavano il ritorno di Radetzky dopo le gloriose Cinque giornate e la repressione che ne era seguita, come pure le speranze suscitate dai primi successi nella guerra del 1848, presto stroncate dalla disfatta di Custoza; eppure dappertutto la popolazione corse a schierarsi con i liberatori e a organizzare le nuove libere istituzioni, finalmente italiane, che l'unione con il Piemonte costituzionale prometteva.
Spontaneamente insorsero tra fine aprile e maggio anche la Toscana, i ducati di Parma e di Modena, le Legazioni pontificie dell'Emilia e Romagna su impulso dei patrioti raccolti nella Società Nazionale; a Bologna le truppe austriache che l'avevano occupata su richiesta di Pio IX dal 1849, fuggirono l'11 giugno e dovunque si dichiararono decaduti gli antichi regimi e l'annessione al Piemonte.
Anche Cremona visse giornate di passione patriottica: quando l'11 giugno le truppe austriache abbandonarono la città, ritirandosi oltre l'Oglio, la popolazione si riversò sulle strade e dappertutto fu esposto il tricolore, mentre la Congregazione municipale il 14 giugno assumeva il potere e proclamava la volontà di unirsi alla monarchia sabauda.
Tali eventi ebbero un'immediata ripercussione in Casalmaggiore, dove subito l'Amministrazione e larga parte della popolazione si mobilitarono per realizzare anche nella nostra città quei mutamenti politici lungamente attesi e che ora sembravano all'improvviso a portata di mano. Un manipolo di documenti tutti contenuti nella cartella 108 dell'Archivio Comunale ci consente di ben ricostruire quelle eccezionali giornate e da essi traggo tutte le notizie che seguono. Una precisazione in premessa: il lettore moderno potrà giudicare il loro linguaggio troppo gonfio e altisonante, ma prima di tacciarli di vuota retorica, si tenga presente che per l'uomo romantico l'espressione dei sentimenti più alti e nobili nei modi più accesi era il segno della loro sincerità: il melodramma verdiano, la poesia patriottica di un Mameli e dello stesso Manzoni, l'epopea garibaldina dipinta da un Gerolamo Induno sono lì a dimostrarlo.
Il 13 giugno dunque la guarnigione austriaca si ritirò da Casalmaggiore e nei cittadini esplose “il giubilo di vedersi ormai liberi dall'esosa presenza dello straniero e chiamati ai nuovi destini che i maravigliosi avvenimenti di questi giorni vanno maturando.[...] L'Autorità Municipale procuratrice naturale in queste supreme necessità dei diritti e dei doveri della patria non indugiava un istante a pronunciarsi per la causa nazionale e a quest'uopo spediva a Cremona e a Milano due membri del proprio Collegio, Ippolito Longari Ponzone ed avvocato Costantino Poltronieri, perchè si ponessero in immediata relazione colla nuova Autorità pubblica costituitasi nel Capoluogo della Provincia e della Capitale […] a fare a voce od in iscritto schietta e solenne adesione al nuovo ordine di cose che il dito di Dio e il senno degli uomini hanno approntato alla patria nostra”.
Mentre i due delegati del Consiglio comunale, partiti il 14 giugno, erano ancora lontani , il 16 si ebbe una forte dimostrazione popolare, che impose l'eliminazione delle insegne dell'Impero asburgico da tutti gli edifici pubblici, tranne quella del municipio, che, con singolare gesto d'orgoglio cittadino, fu lasciata, “coprendo a tinta d'oglio l'aquila austriaca”.
La manifestazione culmina con la presentazione alla Congregazione di una dura protesta, per il ritardo che essa “frappone al pronunciamento di adesione alla causa nazionale”, intima: “Bando ai vigliacchi terrori!” e chiede in tono perentorio che l'indomani stesso si riunisca il Consiglio comunale “invitando a prendervi parte le persone più note per patriottismo ed intelligenza, acciò si dichiari a nome della Città l'annessione del paese al trono di Re Vittorio Emanuele, vi si adotti un indirizzo consentaneo ai sentimenti che ci animano, e si prendano tutte quelle altre determinazioni che le avventurose vicende odierne richieggono”. Questo indirizzo viene sottoscritto, ed è il fatto storicamente più significativo, da ben 97 cittadini, tra i quali figurano, tra i conosciuti di cui è leggibile la firma, aristocratici, proprietari terrieri, molti professionisti (avvocati, ingegneri, medici, farmacisti, notai, professori), e cinque sacerdoti (ma il tema della larga partecipazione del clero cremonese al movimento risorgimentale è troppo interessante per non rinviarlo ad altra occasione). Tante firme scritte con la grafia spedita delle persone istruite in un piccolo centro come Casalmaggiore stanno a significare che a sostenere il moto è l'intera élite cittadina nelle sue varie categorie.
Come richiesto, il 17 giugno viene convocato il Consiglio comunale, “invitando ad intervenirvi anche la Rappresentanza di tutte le Autorità Civili ed Ecclesiastiche, degli Uffici, delle pubbliche Amministrazioni, delle Professioni liberali e del Commercio” e chiunque altro volesse: è una riunione allargata, aperta alla partecipazione di tutti, che ben mostra l'eccezionalità del momento, quasi un ritorno alla democrazia diretta. Il verbale della riunione ricorda che il podestà dott. Carlo Bonetti, dopo aver riferito degli eventi dei giorni precedenti e della missione dei due assessori a Cremona e Milano, chiede ai presenti di deliberare sul da farsi e questi “ad unanime voto acclamano l'annessione di questa Città al trono del generoso Vittorio Emanuele” e approvano l'indirizzo che dovrà essere presentato direttamente al re dall'assessore Ippolito Longari Ponzone e dal dott. Giuseppe Castiglioni, presidente della Società Nazionale sorta in Casalmaggiore dal principio del 1859. Viene anche istituita, nelle persone dei dott. Carlo Marcheselli, Raffaele Verdi, Eucherio Visioli, una commissione incaricata della pubblica sicurezza, di organizzare la Guardia civica e di curare l'avvio dei volontari, che si sono presentati numerosi, ai centri per l'arruolamento.
Il verbale riporta anche l'elenco di 58 partecipanti all'assemblea, seguito dall'annotazione “e coi suddetti molti altri cittadini”. I nomi di questi “padri fondatori” questa volta sono perfettamente leggibili e mi pare giusto trascriverli tutti, sia perchè appartenenti alle più note famiglie casalasche dell'Ottocento, sia a dimostrazione della loro larghissima rappresentatività sociale. “Dr. Carlo Bonetti Podestà – Ing. Luigi Braga Assessore – Monsignor Giuseppe Marenghi Abate Mitrato – Dr. Giuseppe Dovara – Ing. Giovanni Montani – Dr. Giovanni Amadini – Luigi Gabbioneta – Ing. Galeazzo Vitaliani – Daniele Aschieri – Giuseppe Valenti – Don Giuseppe Dell'Acqua Sacerdote e Professore ginnasiale – Pietro Aroldi – Galli Abdon – Bonetti Pietro – Dr. Giovanni Dovara – Dr. Giovanni Contini – Giovanni Stagni – Radini Annibale – Dr. Eucherio Visioli – Dr. Raffaele Verdi – Anacleto Finardi – Dr. Giuseppe Castiglioni – Don Luigi Vaghi Sacerdote – Antonio Vezzoni – Alcibiade Cassi – Conte Antonio Busi – Demetrio Aroldi – Ing. Francesco Cipelletti – Ing. Giulio Cesare Padova Ingegnere Municipale – Rag. Pellegrino Vitaliani – Dr. Paolo Braga – Rag. Gaspare Longari – Pietro Longari – Marchese Carlo Vaini – Marco Pezzini – Giuseppe Finardi – Giuseppe Negri – Valentino Valentini – Seveso Augusto Professore – Professore Gio. Battista Lavelli de' Capitani – Professore Giuseppe Maggioni – Leopoldo Giussani Professore – Stefano Bulgheroni Parroco di Vicobellignano – Dr. Andrea Genovesi Assessore – Don Carlo Araldi Parroco di Casalbellotto – Don Leonardo Rota Parroco di Rivarolo del Re e Brugnolo – Dr. Francesco Dovara – Don Alessandro Bianchi Parroco di Roncadello – Don Felice Tonani Parroco di Agoiolo – Leandro Comola – Prof. Pietro Del Bondio – Giovanni Ganda – Francesco Federici – Francesco Pagliari Maestro – Angelo Valenti – Giovanni Valenti – Lorenzo Porcelli”.
Per lungo tempo, e da varie parti, si è detto che il movimento risorgimentale fu voluto da un'esigua minoranza e da ristretti ceti sociali, mentre la gran parte degli Italiani rimase indifferente se non ostile. Penso che anche l'elenco da me trascritto, con l'ampia e diversificata partecipazione che esso attesta, sia una piccola ma significativa prova del contrario.
Non è questa la sede per addentrarci in un tema tanto complesso e spinoso, ma credo che oggi, superando posizioni ideologiche preconcette, si vada giustamente affermando la tesi di storici come A. M. Banti e P. Ginsborg, i quali nell'opera più vasta e autorevole da loro curata sostengono che il Risorgimento fu realmente un movimento di “massa”, nel senso che alla “costituzione nella penisola italiana di uno stato nazione hanno preso attivamente parte molte decine di migliaia di persone; che altre centinaia di migliaia di persone […] al Risorgimento hanno guardato con partecipazione, con simpatia sincera o con cauta trepidazione” (Il Risorgimento. Annale 22 della Storia d'Italia Einaudi, Torino 2007, p. XXIII).
Francamente credo che questo fosse il massimo che si poteva ottenere in una situazione così arretrata e frantumata come quella dell'Italia preunitaria, con una babele di diversi ordinamenti politici, di leggi, di sistemi amministrativi e fiscali, di confini, di dogane, di monete, di misure, di lingue, di tradizioni..., con una popolazione attiva formata per il 70% da contadini da sempre tenuti per la massima parte in uno stato terribile di miseria, di precarietà e di abbrutimento ed esclusi da ogni tipo di istruzione.
Non è vero, secondo il brillante slogan attribuito a Massimo d'Azeglio, che l'Italia era fatta: essa richiese invece un'immane opera di State building, che durò decenni ed è tuttora esposta a spinte avverse.
Riprendendo il filo della nostra storia, i due delegati Longari Ponzone e Castiglioni si recarono dunque, secondo i deliberati del Consiglio, a Milano e presentarono al Governatore regio della Lombardia l'atto ufficiale di adesione e devozione alla Casa Savoia votato all'unanimità il 17 giugno. Il documento è quello che viene qui riprodotto ed esprime con vigore di concetti e uno stile alto e solenne i voti di tutti i cittadini casalaschi “acclamanti a re nostro il generoso e prode Vittorio Emanuele II”. Richiamandosi all'atto di fusione già formulato nel 1848 e dopo “undici anni di dolore e di aspettazione”, finalmente essi possono esprimere i voti patriottici del paese, “assicurando che come fummo pronti e impazienti di acclamare al riscatto nazionale ed ai diritti della Sua Casa, Casalmaggiore non verrà mai meno nella perduranza e nei sagrifici indispensabili ad acquistare l'indipendenza italiana e a fondare quell'epoca di libertà che ci promette la prodezza e la lealtà di Casa Savoia”.
Il 22 giugno vennero nuovamente convocati il Consiglio e la cittadinanza e gli inviati, rientrati da Milano, poterono riferire del felice esito della loro missione e vennero immediatamente incaricati di presentare direttamente al re e a Napoleone III l'omaggio e la riconoscenza della città. Con procedura eccezionale legata all'eccezionale momento storico, la Giunta municipale dichiarò inoltre che, per quanto pienamente legittima, essa non voleva governare senza la fiducia dei propri cittadini per cui chiedeva di essere confermata dai presenti; all'unanimità vennero acclamati il podestà Bonetti e i due assessori Longari Ponzone e Poltronieri, mentre per gli altri due, Braga e Genovesi, si decise di trattare la conferma in successiva seduta.
Anche in questo verbale del 22 giugno è riportato l'elenco dei partecipanti, che risultano 60: perlopiù coincidono con i precedenti, ma ve ne sono di nuovi e spicca quello del più noto e autorevole patriota casalasco del tempo, Paolo Fadigati, prima assente.
Longari Ponzone e Castiglioni, muniti di credenziali ufficiali, ripartirono subito per l'alto mantovano dove si stavano decidendo le sorti della guerra (il 24 giugno si svolse infatti la battaglia di Solferino e San Martino) e trovarono quindi i due sovrani “seriamente occupati”, come dissero, con forse involontaria ironia, al ritorno, e quindi si limitarono a consegnare il messaggio ai loro capi di gabinetto.
Il desiderio di esprimere al re la devozione e la fedeltà di Casalmaggiore venne però ribadita dal Consiglio comunale del 23 luglio e il podestà Bonetti e l'assessore Longari Ponzone si recarono questa volta direttamente a Torino, dove il re li ricevette il 31 luglio e rivolse loro brevi parole di ringraziamento e di speranza nel futuro della nazione. Al ritorno i due delegati dichiararono espressamente di rinunciare ad ogni compenso per le spese sostenute.
Una commossa coscienza dei grandi eventi storici vissuti e un vibrante afflato patriottico, che faremmo male a considerare puramente declamatorio, spira dall'ultimo documento che vorrei ricordare e che ben sintetizza il senso di stupore e di esaltazione con cui tutti vi presero parte. Subito dopo i plebisciti che il 18 e 22 marzo 1860 avevano ufficialmente confermato l'annessione al Piemonte dell'Emilia, delle Romagne e della Toscana, il nostro Consiglio Comunale si riunì il 24 marzo e stilò un indirizzo a Vittorio Emanuele II che merita un'almeno parziale citazione: “Sire! Il grande concetto della Nazionale Indipendenza, che fu il sogno di tante menti, l'aspirazione di tanti cuori, il martirio di tanti prodi, la vita e l'anima di tanti secoli, oggi la Vostra spada, la Vostra fede, la franca e leale significazione della Vostra politica, hanno irrevocabilmente compiuto. Europa attonita mira il grande atto dell'Italica Indipendenza e pende incerta, se più debba ammirare il Re, cui gli egregi fati e le eccelse virtù meritarono tanto amore di popolo, o il popolo che nella concordia degli animi, nella fermezza dei voleri, nella costanza dei propositi fe' tanta prova di altissima civile sapienza”.
Casalmaggiore intraprese così un nuovo cammino. Dopo il momento dell'unanimità non sarebbero mancati i contrasti di uomini, di partiti, di ceti sociali, ma almeno si era uniti agli altri Italiani e si era padroni in casa propria, non più colonia soggetta a un “barbaro dominio”.
“Liberi non sarem se non siam uni” aveva già scritto nel 1815 il Manzoni. Fin lì si era arrivati; di lì si poteva ripartire.