La presenza dei Chierici Regolari di San Paolo rimane ancor oggi ben visibile in Casalmaggiore non solo per il profondo contributo che essi diedero, nei quasi due secoli della loro permanenza nella nostra città, alla formazione di una classe dirigente colta e preparata attraverso la condotta della scuola pubblica ad essi affidata dalla Comunità, ma anche per i due edifici dove ebbero la loro residenza e che, pur trasformati e destinati a nuove funzioni, mantengono intatti molti dei loro elementi originari, segnano con forte rilievo il nostro tessuto urbano e offrono tuttora degnissima sede alle nostre maggiori istituzioni culturali.
Ho parlato nel
precedente articolo delle scuole che i Barnabiti organizzarono e diressero ed ora vorrei delineare le vicende storiche della chiesa e del collegio di Santa Croce, dove essi abitarono, istruirono generazioni di Casalaschi e svolsero la loro intensa e meritoria attività spirituale e religiosa, sempre seguita con plauso e devozione dalla popolazione casalasca. Il nostro Archivio comunale non possiede praticamente nulla sull'argomento, ma chi segue questa rubrica, forse ricorda che nel numero natalizio di “Casalmaggiore” sono solito uscire da esso, e dunque ora ricorrererò alla documentazione esistente nell'Archivio Storico dei Padri Barnabiti che ha sede nella Casa Generalizia di Roma, presso la chiesa di San Carlo ai Catinari, e nell'Archivio dei Barnabiti di Milano presso il collegio di S. Alessandro.
Ricordo bene come in anni ormai lontani il Padre Giuseppe Cagni mi accolse a San Carlo ai Catinari, mettendomi a disposizione con squisita liberalità e cortesia il patrimonio ricchissimo dell'Archivio da lui diretto e il tesoro della sua cultura ed erudizione e provo ancora un senso di colpa per non aver realizzato il progetto di una storia delle istituzioni scolastiche di Casalmaggiore che allora avevo in mente. Per fortuna la storia del collegio di Santa Croce è stata poi ottimamente ricostruita, soprattutto sotto il profilo architettonico, da una tesi di laurea discussa dalla dott. Monica Torri nell'a. a. 1994-95 presso il Politecnico di Milano (relatori i proff. G. Colmuto Zanella, L. Roncai, F. Repishti), che si trova depositata anche nella nostra Biblioteca Civica, e alla quale rinvio per i particolari della vicenda.
La chiesa di S. Croce non fu fondata dai Barnabiti, bensì dalla Confraternta della SS. Trinità e S. Croce, che aveva la sua prima sede presso il convento dei Padri Minori Conventuali di S. Francesco. Essendo il luogo troppo angusto e continue le diatribe con i frati ospitanti, i confratelli decisero nel 1601 di costruire un edificio del tutto nuovo per il loro oratorio e l'ospitale degli orfani e dei pellegrini che essi assistevano. Sorta in pochi mesi nel sito demaniale donato dal feudatario Ignigo d'Avalos, marchese di Pescara, la fabbrica minacciò subito di crollare, ma venne immediatamente ricostruita e terminata nel 1604, grazie al contributo dei confratelli e specialmente del più ricco e generoso tra loro, il patrizio Ercole Dovara.
Nella prima fondazione non si era infatti tenuto conto della natura estrermamente cedevole del terreno, posto nell'antico fossato del Castelvecchio, il nucleo abitato originario di Casalmaggiore, protetto da un terrapieno rafforzato con pietre e legname, all'esterno del quale correva una profonda fossa colma d'acqua. La bastionatura e la fossa avevano la forma di un quadrilatero, di cui è possibile ancora, con qualche approssimazione, indicare il perimetro: il lato di base A-B andava dal mezzo dell'attuale piazza Garibaldi fino all'incrocio con semaforo tra via Azzo Porzio e via Bixio; il lato B-C da qui fino al termine di via Vaghi e alla congiunzione con piazza S. Martino; il lato C-D da questo punto fino al mezzo di piazza Turati, da cui procedeva l'ultimo lato per ricongiungersi al vertice A. Quando questo bastione perse ogni importanza militare e la cinta di difesa venne spostata nel Castelnuovo lungo il Po, esso fu demolito e il fossato venne colmato, ma il terreno, proprio per questa sua origine, rimase paludoso e malsano, con acquitrini d'acqua fetida e stagnante e piccoli orti tenuti da privati. E' ben noto che per eliminare l'indecente spettacolo durato lunghissimi anni, la Comunità chiese e ottenne nel 1618 che il governatore di Milano le cedesse la vasta area che, con l'espandersi dell'abitato, si era venuta a trovare proprio nel centro della città e che, risanata e sistemata, divenne la Piazza Grande. Anche le altre parti della fossa vennero pian piano recuperate e di essa è scomparsa ogni traccia. Il risanamento della lunga e stretta striscia di terra compresa tra via Azzo Porzio (chiamata anticamente, proprio per questa sua origine, via del Traglio, o Terraglio o, come in altre città di Lombardia, Terraggio) e via Marconi venne compiuto per il primo tratto dalla Confraternita, che appunto vi eresse la sua nuova sede, e poi, in lungo arco di tempo, dai Barnabiti.
Nei primi anni del '600 intanto il feudatario e altri eminenti cittadini presero contatto con i Barnabiti perchè venissero a fondare un loro convento in Casalmaggiore e infatti nel 1614 un piccolo nucleo di essi accettò l'invito. Le accoglienze, com'era nel costume del tempo, furono fastose, ma gli inizi furono assai difficili, perchè, in mancanza sia di una residenza che di una chiesa proprie, vennero ospitati per tre anni nel Palazzo Pubblico (attuali uffici della Provincia in via Cairoli) e officiarono nell'annessa chiesetta di S. Lucia di patronato della Comunità. Era una sistemazione del tutto provvisoria ed inadatta e il Dovara convinse allora gli altri confratelli a cedere ai Padri l'ospitale ancora incompleto perchè vi venissero ad abitare e a condividere con essi l'uso della nuova chiesa senza disturbarsi a vicenda. Ben presto tuttavia questa officiatura promiscua si rivelò fonte di continui contrasti e il solito Dovara dovette intervenire con la sua autorità e i suoi denari per convincere la Confraternita a rinunciare totalmente alla chiesa di S. Croce, spostando tutte le proprie attività religiose ed assistenziali nel vicino fabbricato che si chiamò della SS. Trinità (ma gli orfani, nella voce popolare, continuarono a chiamarsi “crocini”).
Ho qui sintetizzato una vicenda assai intricata e che ebbe momenti di forte tensione, protrattasi per almeno vent'anni, ma la conclusione fu che i Barnabiti poterono disporre finalmente della sede più conveniente per tutte le loro attività, sistemarono la chiesa e continuarono nel tempo a perfezionarla ed abbellirla; completarono anche il collegio, collocando sul fronte verso la piazza le due aule per le scuole e dietro, in modo alquanto precario, la propria residenza; nel lungo spazio delle antiche fosse, ottenuto tramite il feudatario, fino a via Bixio e della superficie di circa 5 pertiche, realizzarono un chiostro e un'ortaglia.
Questo del collegio tuttavia rimase un problema solo provvisoriamente risolto e già dai primi decenni del '700 la situazione si aggravò, fino a divenire drammatica intorno al 1740. Dobbiamo qui far riferimento agli Acta triennalia, le relazioni cioè che ciascun collegio doveva periodicamente inviare alla Casa Generalizia per esporre gli avvenimenti di maggior rilievo successi negli anni precedenti, una documentazione preziosa, conservata per quel che ne rimane nell'Archivio romano dell'Ordine.
Negli Acta triennalia per il 1742-1746 il Padre Giulio Bocconi narra che, appena assunta la prepositura di Casalmaggiore, trovò i locali adibiti al collegio in una condizione disastrosa, con le fessure nei muri che si aprivano a minacciare imminente rovina. Venne subito chiamato a fare una perizia Antonio Mari, architetto della casa barnabitica di Milano, il quale lanciò l'estremo allarme: era un miracolo se la struttura stava ancora in piedi, e quanto a lui, non sarebbe rimasto lì nemmeno un'ora (“se ne unam quidem horam in illa moraturum”). Fu avvertito immediatamente il Padre generale Francesco Gaetano Sola, il quale, visto il pericolo e l'impossibilità di procedere a parziali restauri, autorizzò la demolizione del vecchio stabile e la costruzione di un collegio del tutto nuovo, (“pro eodem (collegio) reaedificando maxima urgente necessitate”). Allo scopo concesse anche l'accensione di un primo prestito di 3000 scudi romani e poi di 23.000 lire presso la cosiddetta “cassa del multiplico”, un'avanzata istituzione finanziaria dell'Ordine, in cui i collegi meglio dotati depositavano fondi, che venivano amministrati dal centro e impiegati poi, a un tasso tra il 4.5% e il 5.5%, per interventi straordinari. La nuova fabbrica fu iniziata nel luglio 1744 e subito si presentarono gravi difficoltà, perchè nello scavo per gettare le fondamenta si ritrovò il terreno inconsistente e paludoso dell'antico fossato del Castello. Fu quindi necessario ricorrere a metodi costruttivi impegnativi e costosi, conficcando innumerevoli pali di legno nel terreno e spingendoli a grande profondità, come se si volesse costruire una casa a Venezia (“si aliquis in Venetiarum civitate domum erigere vellet”). Nel medesimo rapporto il Padre Bocconi riferisce che malgrado ciò i lavori procedettero alacremente e la costruzione già nel 1746 aveva raggiunto il secondo piano. Per conoscere in modo abbastanza seguente i progressi della fabbrica negli anni successivi dobbiamo incrociare gli Acta triennalia con le Visitationes che i Provinciali di Milano redigevano dopo aver visitato periodicamente i collegi della loro Provincia e che si trovano presso l'Archivio dei Barnabiti in Milano. Nel 1753 il quadro tracciato dal Provinciale Olivazzi si presenta poco confortante: i muri sono stati tutti alzati e coperti, ma per difficoltà economiche i lavori sono rimasti sospesi per alcuni anni; ora con un nuovo finanziamento il primo piano è stato coperto con volte e si spera entro l'inverno di completare la struttura anche del secondo e di intonacare i muri, così da rendere l'edificio almeno abitabile. Un solo rimprovero, che per noi suona come lode, il visitatore si sente di rivolgere al preposto Bocconi: “d'avere ecceduto circa la fabbrica in alcuni ornati di troppa spesa, essendo fabbrica che potrebbe star bene in qualunque città più colta”. Nel 1760 è ormai avviato a termine anche il secondo ordine e si lavora al terzo, per cui i Padri, ospitati finora in casa di benefattori esterni, potranno presto tornare ad abitare in un collegio finalmente decoroso e sicuro. Occorsero tuttavia anni ancora perchè venissero completate tutte le finiture e fino agli anni '80 si parla di pavimenti, di porte, di finestre, di ritardi, di spese...
Quando però l'opera fu terminata, essa suscitò il plauso e l'ammirazione generali. Se ne fa interprete nella sua Storia il Romani, il quale giudica “il nuovo collegio di tanta magnificenza e solidità, che forma uno dei più rimarcabili edifici del paese. Esso è a tre piani, non compreso il sotterraneo, i cui ampi e ben elevati corritoi porgono nell'interno il più nobile aspetto. La facciata poi guardante il giardino è così imponente, che lo rende degno di qualunque più illustre città” (libro VIII, p. 140).
Esaminiamo ora in alcuni particolari la planimetria qui riprodotta, che mostra il piano terreno del nuovo collegio e, in forma più sommaria, la chiesa di S. Croce, che non venne toccata dall'intervento settecentesco. E' questo il progetto che venne approvato dal Preposito Generale Sola e dai suoi assitenti a Milano il 29 dicembre 1744, come dice una didascalia posta sul retro e si trova nell'Iconoteca dell'Archivio barnabitico in Roma. Manca purtroppo il nome dell'architetto progettista, anche se è probabile che si tratti di quell'Antonio Mari, che visitò, come abbiamo visto, il collegio e ne impose il rifacimento.
Propongo di compiere del disegno una lettura “attualizzante”, nel senso di vedere in parallelo la funzione antica svolta da ciascun ambiente (indicata dai numeri segnati nel disegno e dalle didascalie) e quella attuale, per meglio cogliere la continuità tra passato e presente.
Cominciando dal fronte verso la Piazza Grande (Garibaldi), si vedono sulla sinistra le due aule delle scuole (n. 3), oggi separate: quella a sinistra con gli spazi retrostanti (parte del corridoio, n. 2, e nn. 4-5) costituisce la sede della Pro-Loco; l'aula di destra, parte del corridoio e la parte sinistra della chiesa sono oggi occupate dal Bar Centrale. La parte destra della chiesa fino all'altezza del presbiterio spetta oggi alla Farmacia Comunale, mentre la parte dietro (nn. 18-19) forma l'ingresso alla Sala civica di S. Croce, che occupa tutta l'area dell'antica chiesa nella sua parte superiore, ottenuta mediante la posa di un solaio che l'ha tagliata a metà nel senso dell'altezza. Sul lato di via Marconi al n. 6 vi era, e vi è, un cortile. Entriamo ora dall'ingresso dell'attuale Biblioteca e sopra la porta notiamo una pregevolissima inferriata finemente lavorata, con il monogramma barnabitico “P A” (“Paulus Apostolus”) intrecciato con la croce e complesse volute barocche. Troviamo subito il corridoio (n.2); sulla destra (nn. 7-8-9-10 e, parzialmente, 11-12) si trovavano la sacrestia, una cappella e locali di servizio, ambienti nei quali è perfettamente riconoscibile l'attuale sala di consultazione. Sulla sinistra dell'ingresso (n. 21) vi era un camera per forestieri, che oggi è diventata la saletta di storia locale; al n. 22 (sala di ricreazione) è stata ricavata l'emeroteca, con il passaggio al n.29, un tempo tinara con le botti del vino e oggi ampia sala di lettura. Tra i nn. 22 e 23 si nota la parte terminale del corridoio sull'asse principale della crociera che parte da piazza Garibaldi; qui oggi operano le nostre esperte bibliotecarie per la distribuzione dei libri e il lavoro d'ufficio. Al n. 23 troviamo l'antico cenacolo, oggi trasformato in ludoteca per i bambini. Sul lato opposto del corridoio (n. 20) vi erano, e sono rimasti, i servizi igienici. I nn. 15 (saletta), 16 (cantinino) e 17 (dispensa) sono gli unici locali oggi scomparsi, per creare l'accesso al vano della scala che sale al primo e secondo piano, costruita in un secondo tempo, perchè nel progetto che stiamo esaminando l'unica “scala grande” era prevista al n. 5. Infine nella parte di corridoio di fronte all'ufficio di distribuzione è stata ricavata la sala per la conservazione del nostro prezioso fondo antico.
Dovrei ora parlare della chiesa di S. Croce, della sua stuttura, dei suoi altari, dei dipinti che li decoravano, ma purtroppo lo spazio è esaurito. Nel
prossimo numero si potrà riprendere il discorso.