Riaprono in questi giorni le scuole ed è quindi il momento giusto per dedicare al nostro antico sistema scolastico la puntata di questa rubrica, che ha per propria caratteristica quella di trattare aspetti della storia di Casalmaggiore in Antico Regime (fino alla fine del '700), attingendo solo a documenti conservati nel nostro Archivio comunale.
L'incuria dei governi e la ricchezza presa a misura d'ogni qualità della persona, con la totale svalutazione del sapere, della ricerca intellettuale, della formazione civile del cittadino, hanno portato oggi allo svilimento delle istituzioni scolastiche e al basso livello dell'insegnamento e dell'apprendimento che stanno sotto gli occhi di tutti, con il duplice effetto perverso di accrescere l'ignoranza e di impoverire l'Italia di cervelli, di cultura e di innovazione in tutti i campi.
Ben diversa era l'attenzione che la Comunità di Casalmaggiore rivolgeva all'istruzione nel passato, come ben dichiara la bellissima introduzione (una specie di arenga medievale) al documento con cui essa affidava ai Barnabiti le sue pubbliche scuole e del quale ci occuperemo ampiamente in seguito (Archivio Storico Comunale, cart. 43, fasc. 1/1; la foto riproduce il passo sotto trascritto). La citazione è lunga, la lingua obsoleta, la sintassi claudica, ma essa trasmette un messaggio alto, di indubbia suggestione, che mi piace porre a premessa di tutto il discorso:
“Essendo l'instituzione della gioventù nelle buone lettere non solo il fondamento della vita civile, ma della stessa humana felicità, la quale comprende in sé quella parte della politica che ha riguardo al pubblico governo. Pertanto volendo la Comunità di Casalmaggiore (per quanto da lei si puote) gettar simili fondamenti nella gioventù di questa sua terra, acciochè poi sopra d'essi la medesima gioventù possa fabricare il nobilissimo edificio della virtù, dalla quale a pubblico beneficio di poi ne proviene l'utile e l'honore, firmissime colonne che sostengono qualsivoglia mole delli pubblici affari, che di quando in quando ne sono arecati dalli accidenti del tempo”.
La Comunità da tempo si prendeva cura della formazione dei giovani e già gli Statuti del 1424 dedicavano una rubrica ai privilegi ch'era giusto riservare ai professionisti che mettono le loro competenze al servizio del bene pubblico: giurisperiti e medici, che assistono e curano gli interessi e la salute dei cittadini, e maestri di scuola, che sono sempre impegnati nell'educare e istruire gli scolari; pertanto essi vengono tutti esonerati dal pagamento d'ogni tassa personale. La rubrica (Statuti di Casalmaggiore, p. 252 dell'ed. 1717; trascritta anche in Romani, II, p. 115) è ripresa alla lettera dagli Statuti di Cremona del 1387 (i nostri statutari dovettero lavorare troppo in fretta per riuscire anche ad essere originali), ma attesta con certezza che Casalmaggiore si era già nel primo '400 dotata di pubbliche scuole.
Di esse non sappiamo nulla di preciso, ma il fiorire anche nella nostra terra della civiltà rinascimentale favorì la ripresa degli studi letterari e della scuola, dove la Comunità chiamò ad insegnare maestri insigni, dotati di grande erudizione e di profonda cultura umanistica, come dimostrano anche le numerose opere (orazioni, lettere, commenti ad autori classici) che di essi ci rimangono, tutte scritte in un limpido e armonioso latino. Ricordo solo i loro nomi e rinvio per alcune notizie ai rapidi profili che il nostro Romani dedica a ciascuno dei maestri che si succedettero sulla cattedra di Casalmaggiore all'incirca nel secolo che va dal 1530 al 1630 (Romani, II, pp. 116-136). I primi tre furono tutti ecclesiastici casalaschi: Ettore Negrisoli, Carlo Stefani e Vincenzo Visioli; seguirono Marcantonio Ovio, parmigiano, Nicolò Inama di Trento, Asterio Manlio di Parma, molto apprezzato come oratore anche alla corte dei duchi Farnese, Antonio Bologni, giureconsulto casalasco, e infine Giacomo Vezzani di Reggio Emilia, un valente umanista che venne assunto nel 1626 con un incarico triennale, poi rinnovato fino al 1638. Una raccolta di lettere ad amici, da lui pubblicata nel 1643 a Genova, tratteggia con vivacità la sua vita di docente. Egli ha ottimi rapporti con la Comunità, dalla quale riceve un elevato stipendio di 220 ducati, per impartire gratuitamente le sue lezioni agli allievi raccolti in un'unica aula presso la propria abitazione. Il salario è buono, ma l'insegnamento è molto faticoso, perchè, com'egli dice, traducendo dal suo bel latino, “mi tocca ogni giorno lottare e sudare come nell'arena di un circo contro l'ignoranza e l'ignavia di alcuni scolari”. Maggiori soddisfazioni gli procurano i “dozzinanti”, gli scolari provenienti dalle famiglie più benestanti che gli vengono affidati in pensione perchè siano continuamente istruiti nel modo più accurato e dai quali percepisce un compenso di altri 220 ducati. Questi sono perlopiù destinati alle professioni o aspirano al sacerdozio e proseguiranno gli studi nei corsi superiori del prestigioso collegio fondato dai Gesuiti in Cremona già nel 1602.
Dopo il 1638 si verifica nelle scuole di Casalmaggiore una svolta radicale, ma prima di parlarne è opportuno dare in estrema sintesi qualche notizia generale sull'ordinamento degli studi nella Lombardia dei secoli passati.
Dal Medioevo alla fine del '700 lo Stato non intervenne mai nel sistema degli studi preuniversitari e l'esclusiva competenza per l'istruzione elementare e media apparteneva ai Comuni, che provvedevano ad organizzarla in assoluta autonomia. Non esistevano leggi e norme codificate e ciascun Comune si regolava in base a propri criteri, alla propria sensibilità per il problema, alla propria disponibilità economica, poiché doveva a proprie spese assumere e retribuire i docenti, fornire le aule e gli strumenti necessari per l'insegnamento, e ciò costituiva un onere spesso assai gravoso per i bilanci comunali. L'istruzione rimase per tutti questi secoli un fatto del tutto elitario, cui accedeva solo una ristretta minoranza proveniente dalle classi più elevate e solo dal 1775 il sempre provvido e illuminato governo di Maria Teresa e di Giuseppe II emanò anche nella Lombardia austriaca una legislazione scolastica con cui lo Stato dettava principi e regole a cui tutti i Comuni dovevano attenersi e rese obbligatoria la frequenza di almeno due classi elementari (obbligo che però rimase a lungo teorico, tant'è vero che al censimento del 1871 la percentuale degli analfabeti era in Lombardia del 45%, inferiore certo al quasi 70% nazionale, ma ancora consistente).
Verrebbe da pensare che i Comuni si preoccupassero innanzi tutto di istituire le scuole elementari per dare a tutti una preparazione di base; ma questa è la mentalità moderna, nata con l'Illuminismo che vede nella cultura un bene in sé e uno dei diritti fondamentali della persona, che tutti devono possedere, come la libertà e l'eguaglianza. Nella società statica e rigidamente stratificata dei secoli precedenti l'istruzione era invece un bene riservato ai pochi che potevano accedere alle mansioni più elevate, mentre per chi era destinato dalla nascita alla fatica dei campi era considerata un lusso superfluo, anzi pericoloso, perchè creava vane ambizioni.
Solo nelle grandi città ricche di opifici e di commerci i Comuni istituivano quindi scuole di leggere, scrivere e abaco, richieste per necessità pratiche da ampie fasce di popolazione, ma dove dominava l'economia agricola le scuole elementari non esistevano del tutto e la preparazione iniziale dei fanciulli era affidata esclusivamente alle famiglie delle classi superiori, che vi provvedevano con precettori privati, mentre la scuola pubblica aveva inizio con le classi di Grammatica e di Umanità, nelle quali l'unico insegnamento impartito era la grammatica latina e la lettura dei classici latini. Era quindi naturale che gli strati più umili della popolazione criticassero fortemente l'istituzione delle scuole, viste come privilegio di pochi che tutti però dovevano pagare con le proprie tasse. Anche in Casalmaggiore gli abitanti delle Ville spesso sollevarono il problema, protestando contro i pesanti costi di un servizio di cui godevano solo le famiglie più ricche del capoluogo. Ma i decurioni del Consiglio comunale non cedettero mai, in parte per difendere i propri interessi di classe, ma anche perchè erano coscienti che le scuole svolgevano il fondamentale ruolo di formare una classe dirigente e di assicurare la presenza e la continuità di un ceto di amministratori e di professionisti al servizio del pubblico e dei privati, in grado di elevare il prestigio e il livello civile e culturale della vita cittadina.
Riprendendo il filo del nostro racconto, nel 1638 dunque il Vezzani abbandonò il suo insegnamento, ultimo dei maestri laici condotti dalla Comunità, anche perchè questa aveva da tempo avviato trattative informali per affidare le scuole all'ordine religioso dei Barnabiti. I Chierici Regolari di San Paolo, detti Barnabiti dal titolo della loro chiesa principale di San Barnaba in Milano, erano venuti a stabilirsi a Casalmaggiore fin dal 1614 e godevano di grande prestigio e della benevolenza di importanti famiglie casalasche, come i Feroldi e i Ponzone, alcuni membri delle quali avevano preso i voti in quell'ordine. In più il loro fondatore, Antonio Maria Zaccaria (1502-1539), era cremonese d'origine e a Cremona essi avevano fondato fin dal 1570 uno dei loro maggiori collegi. Nonostante ciò il primo insediamento dei Barnabiti in Casalmaggiore fu tutt'altro che tranquillo, tormentato da liti e contrasti infiniti, di cui però si potrà parlare in altra occasione. A quasi 25 anni dal loro arrivo, nel 1638, essi si erano ormai stabilmente sistemati nella nuova chiesa di Santa Croce, edificata sopra l'antico fossato di Castelvecchio, e nell'annesso collegio, e avevano ricevuto sostanziosi lasciti per circa 1300 pertiche di terreni, che li garantivano anche nei loro bisogni materiali. In tutti questi anni si erano dedicati con profondo zelo ai servizi religiosi e a opere di carità (ben tre Padri dei sei normalmente presenti nel convento di Casalmaggiore erano morti nella cura degli appestati durante l'epidemia del 1629-30), ma non si erano mai occupati dell'insegnamento nelle scuole, che del resto era del tutto estraneo alla prima ispirazione del loro Ordine.
Così era stato nei primi decenni dalla loro fondazione anche per i Gesuiti, che tuttavia nel corso del '500 si dedicarono con sempre maggior convinzione ad un impegno pedagogico, prima rivolto alla preparazione dei loro novizi, poi anche ad alunni esterni, ammessi nei loro collegi per dare loro una compiuta formazione culturale, spirituale e umana, ma anche per acquisire influenza e prestigio per il loro Ordine presso le famiglie aristocratiche e potenti da cui provenivano quasi tutti i loro allievi; senza dire che l'esercizio delle scuole divenne ben presto in tempi calamitosi e incerti la maggiore fonte di entrate per tutti gli Ordini docenti a cui assicurava copiose e stabili rendite. L'esempio dei Gesuiti spinse anche i Barnabiti ad impegnarsi nella conduzione di scuole pubbliche ed anch'essi elaborarono e pubblicarono nel 1666 un sistema di regole pedagogiche e didattiche per i loro collegi, che ricalca in larga misura la famosa Ratio studiorum gesuitica edita nel 1599.