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Il 1848 a Casalmaggiore: l'alba breve della libertà


Nel precedente articolo abbiamo visto quanto fervida e immediata sia stata nel giugno del 1859 la risposta di tutta la popolazione casalasca all'avvio della rivoluzione nazionale, che doveva portare nel breve giro di due anni alla formazione del Regno d'Italia unitario e fondato su una costituzione liberale. Si ebbe allora la chiara dimostrazione di quanto il progetto risorgimentale fosse penetrato nella coscienza e nei bisogni di tutti gli strati sociali e fosse in grado di mobilitare i cittadini e le istituzioni municipali in una serie di iniziative lucidamente programmate e messe in opera a sostegno della liberazione della Lombardia dall'Austria e dell'adesione della città alla monarchia sabauda.
Ma questa aspirazione politica, che nel 1859 doveva trovare piena realizzazione, viveva da lungo tempo nell'animo del popolo lombardo, alimentata sia dalle idealità nazionali sia, e in maniera ancora più profonda, dalla sempre crescente ostilità contro l'oppressivo regime con cui l'Austria teneva soggiogato il Lombardo-Veneto, la parte più ricca ed evoluta del suo vasto impero multietnico. Su tutta la società gravava un sistema di dominio sempre più intollerabile: mancanza assoluta di autonomia, rigida burocrazia, censura, stato di polizia che soffocava ogni istanza democratica, sfruttamento economico con una tassazione esorbitante, per cui, per dirla col Cattaneo, “Il denaro nostro veniva trasportato con annua rapina a Vienna” e gli Italiani dovevano “pagare un terzo delle gravezze dell'impero, benchè facessero solo un ottavo della popolazione”.
La protesta contro questo stato di cose sfociò, com'è noto, nelle insurrezioni del 1848, con cui Venezia e Milano parteciparono a quella “primavera dei popoli” che sconvolse tutta l'Europa e determinò la crisi finale della Restaurazione.
Anche Casalmaggiore, all'epoca un piccolo centro di circa 4000 abitanti e poco più di 14.000 con le numerose frazioni, ad economia prettamente agricola, ma a cui nel 1816 è stato rinnovato il titolo di “città regia” e vanta una consistente presenza di possidenti, di professionisti, di classe media e di proletariato urbano, visse, sia pure nella sua posizione periferica, il suo '48, un breve periodo di libertà presto seguito dalla repressione e dal ritorno ad un'apparente “normalità”, mossa nel profondo dalle passioni e dalle speranze che si erano accese e sarebbero riemerse dopo il “decennio di preparazione”. Gli eventi del '48 furono senza dubbio anche in Casalmaggiore il diretto antecedente del '59, ma non sono mai stati narrati, perchè, mentre per il '59, come si è visto, la documentazione è consistente, essi non hanno lasciato alcuna traccia archivistica e anche i documenti ufficiali (avvisi, proclami, verbali della Municipalità...) sono andati probabilmente distrutti dopo il fallimento del moto.

Tanto più preziosa riesce quindi la testimonianza lasciataci da un giovanissimo patriota che partecipò con entusiasmo agli avvenimenti e ce ne ha lasciato ampia narrazione in un libro di memorie da lui scritto e pubblicato in tarda età, sulla base degli appunti da lui sempre conservati. Si tratta di un testo spesso richiamato, ma piuttosto raro, giunto nella nostra biblioteca ad opera del prof. Lipreri, e mai esaminato sotto il profilo storico, ma che merita invece attenzione soprattutto in questa prima parte relativa al '48. Il titolo è “Reminiscenze di un Bersagliere dal 1848 al 1890”, edito a Milano nel 1893, e l'autore è il casalasco Tullio Visioli, che però sul frontespizio figura con lo pseudonimo “Tullioli”, probabilmente in ricordo del soprannome “Tulliola” datogli per il suo viso infantile dai compagni di studio a Pavia, ma ancor più perchè egli vuole dare all'opera un significato esemplare, presentandola come l'esperienza anonima di uno dei tanti italiani che hanno dedicato alla patria la propria esistenza senza nulla pretendere in cambio. Il Visioli infatti nella dedica ai suoi “Concittadini e Commilitoni” dichiara di aver scritto i suoi ricordi senza alcuna velleità letteraria, ma per “far meglio apprezzare e giudicare l'entità delle principali vicende del nostro risorgimento, da chi troppo esaltate, da altri troppo disconosciute e depresse”: una bella frase di stretta attualità, che suggerisce il giusto atteggiamento critico da tenere anche oggi.
Visioli nel libro non cita mai per nome né Casalmaggiore, che, pur ben riconoscibile, non è altro che “una piccola città lombarda” o una “cittaduzza”, né i familiari o le persone presenti nel suo racconto, e non entra mai nei particolari neppure sulle sue vicende personali, proprio per quell'atteggiamento antieroico che lo porta a mettere sempre in secondo piano la propria persona e a non esaltare mai le proprie azioni compiute non per vanagloria, ma solo per un alto senso del dovere. Tuttavia la sua vicenda politica e umana si dipana esemplarmente davanti ai nostri occhi e, prima di entrare in argomento, dobbiamo rapidamente ripercorrerla.
All'inizio del racconto, nel 1848, noi troviamo Tullio ragazzo di 12 anni iscritto al ginnasio di Casalmaggiore. E' figlio del medico condotto (dai documenti apprendiamo che il nome era Francesco Secondo e, dopo la laurea a Pavia, esercitava la professione dal 1822), che conduce la vita faticosa di tutti i suoi pari e tutto il giorno percorre col suo calesse le malagevoli strade del territorio per visitare i malati delle frazioni, in cambio del modesto stipendio consentito dalle finanze comunali (su cui ricadono tutte le spese per la sanità e le scuole), e con esso deve mantenere una famiglia numerosa di nove figli (cinque maschi e quattro femmine), di cui Tullio è il terzultimo.
Egli, dopo gli anni della prima giovinezza, di cui parleremo, si reca a frequentare il liceo e l'università a Pavia, fino alla laurea in legge, e quindi nel 1858 a Milano per la pratica forense. Ma agli inizi del 1859 si preannuncia la guerra d'indipendenza ed egli non resiste all'impulso di correre ad arruolarsi nell'esercito piemontese e, viaggiando un po' a piedi, un po' in ferrovia, giunge a Torino, dove ha la gioia di vedere i suoi grandi eroi: Garibaldi, Cavour, Cairoli... Desidera ardentemente entrare nel corpo dei bersaglieri e viene accettato ed inviato a Cuneo per l'addestramento, duro, condotto da caporali e sergenti esigenti, che parlano solo in dialetto piemontese, ma da cui esce formato nella disciplina e nel carattere. Combatte quindi tutta la guerra fino alla battaglia di S. Martino.
Congedato, rientra a Casalmaggiore nel 1860, carico di gloria ma senza un lavoro. Decide di entrare nella magistratura e ottiene un posto di uditore giudiziario presso il Tribunale di Cremona, ma quando sente che Garibaldi si prepara a partire per la Sicilia, torna a prevalere la sua vocazione patriottica e si precipita a Genova, dove si imbarca nella seconda metà di maggio con la seconda spedizione al comando del generale Medici, seguendo l'impresa dei Mille fino al Volturno.
Ormai Visioli è inquadrato nell'esercito e come tenente viene inviato nel 1863 nella zona di Avellino e Benevento per combattere la guerra del brigantaggio (sulla quale scrive pagine molto vive e con giudizi originali, lodando il coraggio e l'umanità di quelle masse rurali primitive, oppresse dai “galantuomini”, pronti ad ogni ferocia e ingiustizia verso i contadini e ad ogni inganno e tradimento verso le autorità dello Stato pur di conservare i loro privilegi). La partecipazione alla campagna del 1866 è per Visioli motivo di grande amarezza per il disordine che regna nei comandi e tra le truppe e rende inevitabile la sconfitta. E un senso di dolorosa amarezza, più che di aspra polemica domina anche l'ultima parte delle memorie: il nostro bersagliere mostra sempre un carattere cordiale, schietto e positivo e non dimentica mai la disciplina militare e “l'umore allegro di cui l'ha colmato la natura”, anche se non può tacere il disincanto per un'Italia reale che ha deluso le sue speranze, con un Parlamento che egli considera palestra di contese oratorie e di contrapposte ambizioni e un esercito in cui la corruzione e i favoritismi prevalgono sull'onestà e il merito. A ciò, implicitamente, Visioli attribuisce la colpa della sua carriera tutt'altro che brillante: nel 1883, dopo 17 anni da capitano, è promosso maggiore, ma i seri contrasti che ha con i superiori lo inducono infine nel 1890 a dare le dimissioni dall'esercito. Non rinuncia però al suo impegno e scrive queste “non gloriose, ma ammaestratrici reminiscenze”, sintesi d'una vita ben vissuta.
Fra i personaggi che popolano il libro, meritano un rapidissimo cenno i due fratelli maggiori dell'autore, anch'essi patrioti e volontari nelle guerre risorgimentali: il primogenito Eucherio, nato nel 1828, partecipò volontario alle due campagne del 1848 e del 1849, per poi esercitare a lungo la professione di notaio in Casalmaggiore e ricoprire importanti cariche pubbliche: l'abbiamo visto tra i protagonisti della rivoluzione del 1859 e a più riprese (l'ultima nel 1893) venne eletto sindaco. Morì il 13 gennaio 1905, come mi ha gentilmente comunicato il nostro Ufficio di Stato civile. L'altro fratello, Mirocleto (l'inventività dell'onomastica casalasca dell'Ottocento è senza pari e meriterebbe uno studio apposito), era di quattro anni maggiore di Tullio, fece in tempo a partire appena sedicenne per la guerra del 1848-49 e combattè poi nelle guerre del 1859 e del 1860-61.

Possiamo ora affrontare il nostro tema, il '48 casalasco, valendoci appunto della diretta testimonianza del Visioli, che in tono pianamente narrativo riesce a restituirci un ritratto quanto mai attendibile e incisivo, ricco di particolari concreti e realistici, di un'intera società e di un particolare momento storico. Mentre infatti dopo la partenza da Casalmaggiore la sua esperienza è del tutto simile a quella delle migliaia e migliaia di volontari, che col vigore e la passione della giovinezza impressero forza irresistibile al movimento risorgimentale, le pagine iniziali costituiscono una ricca e originale fonte storica.
Tullio cresce dunque in una famiglia “civile”, col padre medico convinto mazziniano che dà un'educazione spartana ai nove figli, anche per assicurare col modesto stipendio una professione ai maschi e una dignitosa sistemazione alle femmine. Parole grandi e indefinite risuonano nel suo ambiente, come “religione nazionale, unità italiana, rivoluzione redentrice”, e suscitano in lui profonde impressioni fin dai primi anni.
Una sera di febbraio del 1848 giunge all'improvviso a casa il fratello maggiore di 20 anni, che si era recato a studiare legge all'università di Padova e che porta clamorose novità: gli studenti padovani si sono scontrati con militari austriaci e li hanno costretti a ritirarsi nelle caserme, l'università è stata chiusa e dappertutto risuona il grido “Viva l'Italia! Viva Pio IX”. Il fatto che il papa nel modo più imprevisto si fosse posto all'avanguardia delle riforme liberali, fu, notiamo, elemento decisivo in quella situazione politica, in quanto costrinse anche i cattolici più conservatori a parteggiare per breve tempo per la causa nazionale e soprattutto trovò vasta adesione nel popolo e in larga parte del clero, aprendo quella frattura tra cattolici reazionari e cattolici liberali che non si ricompose durante tutto il Risorgimento e che, mutati i nomi e i modi, dura forse anche oggi.
Mentre la famiglia è ancora raccolta ad ascoltare e il padre chiede ansiosamente se a promuovere la sommossa sono stati i mazziniani o i giobertiani, ecco sopraggiungere ad informarsi un notaio (da identificare forse in quel Carlo Bonetti che abbiamo visto guidare come podestà la rivoluzione del '59), amicissimo del padre, benchè seguace del neoguelfismo giobertiano, nella cui casa si riunivano da tempo tutti i liberali del paese a cospirare contro “l'obbrobriosa tirannide austriaca” non senza grave pericolo, anche della vita, dato l'occhiuto controllo poliziesco.
Ma la novità maggiore si verifica un mattino verso la metà di marzo, quando il popolo casalasco ha la bella sorpresa di ritrovare le caserme vuote, perchè il battaglione austriaco di presidio è stato richiamato a Milano, dove, dal 18 marzo, è scoppiata l'insurrezione famosa delle Cinque Giornate, terminata vittoriosamente il 22 con il ritiro dalla città dell'esercito del maresciallo Radetzky. Fu questa una delle pagine più alte e significative del Risorgimento, perchè tutto il popolo insorse e, pur con diversi propositi e interessi, tutte le classi sociali (nobili, borghesi, artigiani, commercianti, operai, contadini provenienti dalle campagne, nonché donne e ragazzi) concorsero ad alzare più di 1600 barricate per le vie, con circa 400 caduti fra gli insorti e più di 1000 tra le truppe austriache.
Anche in Casalmaggiore si forma subito un comitato di cittadini col primario compito di difendere la città da eventuali attacchi di militari austriaci sbandati durante la ritirata verso il Quadrilatero. Un fatto drammatico sopravviene poi a turbare gli animi e a muoverli all'azione: un anziano gendarme tirolese devotissimo all'imperatore ed evidentemente disperato per le rivoluzioni di Vienna e di Milano, si spara un colpo di fucile in bocca. La popolazione rimane scossa, quasi ritenesse il governo austriaco responsabile anche di quel suicidio, e scende in piazza a gridare il proprio odio contro lo straniero e il proprio evviva a Carlo Alberto e Pio IX, ma anche alla Repubblica federale voluta da Cattaneo, abbatte tutte le insegne austriache e le brucia in Piazza Grande, mentre cortei percorrono le vie, esaltandosi al canto delle canzoni patriottiche più in voga: Fratelli d'Italia, La bandiera a tre colori e l'ancor più popolare Addio, mia bella addio.
E' questo uno squarcio di grande interesse, perchè conferma l'importanza del canto politico per diffondere idee e passioni del Risorgimento tra gli strati popolari, un filone di ricerca piuttosto recente, ma che ha già prodotto risultati significativi. Infatti Addio, mia bella addio fu un po' il Leit-motiv che accompagnò le marce dei soldati nel 1848-49, come poi La bella Gigogin nel 1859 e durante la spedizione dei Mille. Quanto a Fratelli d'Italia ricordiamo che era stato composto dal Mameli in poche ore l'8 settembre 1847 e poi musicato da un maestro di musica suo amico, Michele Novaro: creato quindi solo da pochi mesi, nel '48 era già cantato in tutte le piazze, segno di quanto fosse pronto il popolo ad entusiasmarsi per certi temi. Divenuto dal 1946 con l'avvento della Repubblica il nostro inno nazionale, si è trasformato oggi quasi in un'icona pop, cantato a proposito e a sproposito in tutte le circostanze e meriterebbe certo d'essere restituito a maggior dignità.
Proseguendo la cronaca del nostro 22 marzo, la massa giubilante dei casalesi si ferma verso le 10 del mattino sotto la casa del notaio patriota e lo chiama, invitandolo ad assumere il governo della città. La scena che segue sembra rinnovare lo spirito della più pura democrazia comunale: il notaio si affaccia al balcone e dichiara di accettare l'investitura popolare a patto che gli sia affiancato un comitato di sei cittadini da lui indicati; egli scandisce i nomi uno dopo l'altro e la folla in basso grida ad ogni nome il suo assenso. Il nuovo Comune democratico, continua il notaio, deve rispettare l'ordine e la legalità e costituire per prima cosa una Guardia civica per controllare e difendere il territorio e al suo comando dovrà andare un ex capitano dell'armata napoleonica (gli ufficiali dell'antico Regno d'Italia svolsero un ruolo di grande rilievo nelle società segrete e nei movimenti patriottici con le loro idee e le loro competenze militari ed è significativo che dopo almeno 35 anni dal congedo ad uno di essi venga affidato il comando della nuova milizia). Un immenso evviva accoglie dal basso tutte le proposte del notaio.
Mentre gli uomini si organizzano politicamente, le donne sono tutte impegnate a preparare coccarde tricolori e a confezionare grandi bandiere da esporre a finestre e balconi: consuetudine che accompagnò tutti i moti popolari del Risorgimento e che ha trovato molte rappresentazioni nella pittura ottocentesca.
A mezzogiorno squillano a festa le campane di tutte le chiese e del Palazzo civico, sotto il quale la banda cittadina suona l'inno di Mameli per salutare l'insediamento del governo cittadino appena eletto dal popolo e che si è riunito all'interno per scrivere un proclama che dia forma compiuta al programma appena enunciato dal notaio. Il proclama appena redatto viene subito stampato e gli uscieri ne gettano centinaia di copie sulla folla che lo accoglie entusiasta; in testa esso porta il motto “Chi per la patria muor, vissuto è assai”, famoso verso dalla Caritea regina di Cipro, musicata da Mercadante nel 1826. Visioli tuttavia nota che parecchi, ora che si tratta di iscriversi nelle liste della Guardia civica, preferiscono disperdersi verso casa.
Alle 4 del pomeriggio un rullare di tamburi e le note della banda chiamano a raccolta i volontari per formare la Guardia civica: subito si presentano un buon numero di giovani, che vengono inquadrati dal capitano napoleonico e da alcuni che avevano svolto servizio di leva nell'esercito austriaco. Fra gli altri si iscrive anche un fratello di Tullio, che ha solo 16 anni, ma è grande e forte e fin allora per obbedire alla madre religiosissima si era indirizzato alla carriera ecclesiastica e aveva vestito con qualche vergogna l'abito di chierico, ma che ora è ben lieto di toglierselo e di mettere a tracolla un bel fucile. La Guardia civica deve suddividersi in due parti: una deve portarsi ai confini del territorio comunale per respingere eventuali attacchi degli Austriaci in ritirata, l'altra restare a mantenere l'ordine in città. Sorge qualche difficoltà, perchè all'inizio pochi si offrono per sostenere il servizio più rischioso, ma finalmente si riesce a trovare una cinquantina di audaci, che al suono di “Addio, mia bella addio” e tra i battimani dei presenti si mettono in marcia.
Brillano fino a mezzanotte, accesi a tutte le finestre delle case, lumi, fiaccole, scritte illuminate che inneggiano all'Italia, a Pio IX, alla libertà e si chiude così questa giornata del 22 marzo per tanti versi memorabile, mentre il paese, sazio di emozioni e degli eccezionali eventi che ha vissuto, ritrova la calma e si addormenta finalmente nel chiarore di un limpido plenilunio.
Lasciamo a questo punto dormire il popolo casalasco nella dolce illusione della riconquista libertà; il seguito del racconto e il suo drammatico esito sarà il tema del prossimo articolo.

Frontespizio del libro: Tullioli (pseudonimo di Tullio Visioli), Reminiscenze di un bersagliere dal 1848 al 1890, Milano 1893, pp. 295
Mobirise
Pubblicato su "Casalmaggiore", bimestrale a cura
dell'Associazione Pro Loco di Casalmaggiore
Giugno 2011

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