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La chiesa di Santa Croce e il suo patrimonio artistico


La rivista Barnabiti Studi, edita dalla Casa Generalizia dei Barnabiti in Roma e che tratta a livello scientifico temi attinenti la storia dell'Ordine, ha pubblicato nel suo primo numero (n. 1, 1984) un interessantissimo saggio di Sergio Pagano intitolato: “Stato della Congregazione dei Barnabiti in Italia nel 1650”, in cui viene data una puntualissima descrizione di tutti i 42 collegi barnabitici esistenti allora in Italia. Al n. 31 (pp. 77-81) figura: “Casalmaggiore, S. Croce, 12 marzo 1650”. Del collegio viene tracciata la storia, già da noi ricordata per sommi capi, dall'arrivo dei primi Barnabiti nel 1614, ai dapprima amichevoli, poi sempre più contrastati rapporti con la Confraternita della SS. Trinità, fino all'accordo del 1646, che segnò la completa separazione e la definitiva attribuzione ai soli Barnabiti della chiesa di S. Croce. Segue la descrizione della struttura edilizia di quest'ultima e dell'annesso collegio e infine dello stato patrimoniale, con un sommario bilancio delle entrate e delle uscite, che indica un attivo di scudi 287,50 annui, sufficienti per mantenere i 6 chierici presenti.
A noi in questa sede interessa particolarmente la parte relativa alla chiesa, di cui trascrivo fedelmente l'inizio (a p. 78), di carattere generale: “Ha (Vi è) la chiesa dunque altre volte sotto il titolo di SS.ma Trinità e Santa Croce, doppo l'ultimo accordo (con la Confraternita della SS. Trinità) nell'anno 1646, di solo S. Croce, avendo per accordi levato il primo; et è di struttura alla moderna su la piazza; la facciata guarda tramontana, a mezzodì col coro, di lunghezza braccia 60 (circa m. 35,60 di oggi), di larghezza braccia 34 (circa m. 20,20) et è di figura di una giusta nave (navata), con otto cappelle fondate (cioè canonicamente costituite da un patrono che ne cura l'officiatura e l'arredo) oltre la maggiore, distinte tra loro da buoni pilastri, con piedestalli, basi e capitelli, col suolo ben mattonato. Ha il vòlto di pietra cotta, molto svelto sopra cornicione dorico che tutta la circonda; il coro è rotondo con quattro pilastri simili alli (a quelli della) della chiesa, et è intonacata tutta e imbiancata.[…] E' poi la facciata fabricata in piazza a due ordini, dorico e composto, con pilastri, piedestalli, nicchie etc che fanno bellissima mostra”.
Oggi la facciata è rimasta sostanzialmente inalterata, a parte l'eliminazione del timpano con i pinnacoli laterali e naturalmente del portale d'ingresso e della sezione inferiore, data la funzione civile e commerciale a cui l'edificio è stato adibito dopo l'allontanamento dell'Ordine.
L'interno invece ha subito una totale trasformazione, anche perchè è stato diviso su due piani con un solaio che taglia l'antico spazio della chiesa in senso orizzontale. Al piano terreno sono stati sistemati sulla sinistra il Bar Centrale e sulla destra la Farmacia comunale, con la completa eliminazione delle cappelle laterali, di cui si intravedono solo alcuni elementi architettonici. Il piano superiore, che si estende su tutta la parte alta dell'antica navata, è stata dimezzata in altezza, ma ha conservato tutti gli elementi originari: la medesima lunghezza e larghezza, l'abside con i quattro pilastri, il vòlto in cotto, la parte superiore delle arcate delle cappelle, nella cui profondità si sono ricavati i due corridoi che fiancheggiano i lati maggiori della Sala-Auditorium che in esso ha trovato ottima sistemazione.
La migliore rappresentazione che abbiamo dell'antica chiesa di Santa Croce è quella che qui riproduco e che è parte di una smisurata planimetria lunga più di un metro e larga circa 35 cm., conservata presso l'Archivio dei Barnabiti di Milano, che reca sul retro la scritta: “Disegno del padre Fabio Pelizzone. Il collegio di Casalmaggiore”. Di questo padre Pellizzoni, come dell'Antonio Mari, che abbiamo conosciuto come probabile autore del progetto per il nuovo collegio settecentesco, non mi è riuscito di sapere nulla. Il disegno non è datato, ma credo che si possa con certezza collocare nella prima fase dell'insediamento dei Padri, tra il 1620, quando la chiesa, per i buoni uffici di Ercole Dovara, venne ad essi ceduta in esclusiva dalla Confraternita della SS. Trinità, e il 1639, quando essi ricevettero la condotta delle scuole. Lo dimostra il fatto che nel locale a sinistra della chiesa, che sarà poi diviso e destinato alle due aule scolastiche, è ancora situato l'oratorio in cui i Trinitari, una volta esclusi da S. Croce, poterono ancora per qualche tempo celebrare le loro funzioni.
La chiesa nel disegno si presenta dunque a navata unica, con profonda abside e presbiterio; lungo le pareti sono ricavate, divise da solidi pilastri, otto cappelle regolari, poco profonde e terminanti ad arcate; di esse nella planimetria solo quattro risultano adibite al culto, ma successivamente anche le due ai lati dell'ingresso vennero consacrate.

Un altro documento su cui vorrei attirare l'attenzione è un “Inventario de' mobili della Chiesa, del Collegio e della Cantina di S. Croce di Casalmaggiore”, non datato, ma firmato dal Padre Aurelio Brambilla, che fu preposto nel nostro collegio tra il 1795 e il 1805, e redatto probabilmente nel 1798 insieme ad altri documenti contabili riguardanti il collegio, che in quell'anno furono trasmessi a Milano su richiesta della Repubblica Cisalpina creata da Napoleone. Il documento si conserva nell'Archivio Statale di Milano, Amministrazione Fondo di Religione, cart.1729 ed è diviso in paragrafi distinti per materia: l'argenteria, le suppellettili, la biancheria, i mobili, gli arnesi della tinaia e della cantina, un capitolo questo che penso potrebbe interessare molto gli specialisti, perchè descrive un patrimonio ricchissimo di tini, botti, botticelle, barilotti, strumenti per la vinificazione, a conferma che anche nelle estese proprietà dei Padri, come in tutto Casalasco, il vino era il prodotto agricolo più coltivato e più redditizio.
Il paragrafo per noi più importante è però la “Descrizione de' quadri esistenti nella chiesa”, che elenca e fornisce notizie, purtroppo assai rapide e generiche, del presbiterio e delle sei cappelle laterali allora esistenti, con particolare attenzione per i dipinti che ornano gli altari.
Nel coro, al posto d'onore perchè ad essa è dedicata la chiesa, si trova un quadro grande “che rappresenta la Croce sostenuta da quattro angeli con cimasa e cornice a velatura. Pittura d'Ilario Spolverini” (Parma 1657- Piacenza 1734), che fu famoso soprattutto come pittore di battaglie e ritrattista aulico alla corte dei Farnese. In base a lettere reperite nell'Archivio dei Barnabiti di Milano la Torri nella tesi di laurea citata nello scorso articolo (p. 156) ha precisato che esso fu sistemato in loco nel 1713. Purtroppo nulla si sa della sua attuale collocazione, ma ne conferma la presenza il canonico Antonio Barili, che nelle sue Notizie storico- patrie di Casalmaggiore, Parma 1812, p. 102 scrive “ammirasi all'altar maggiore una tavola molto grande rappresentante il Trionfo della Croce dagli Angeli sostenuta, dipinta da Ilario Spolverini, Parmigiano”. Ai lati poi dell'altare maggiore “tutto di legno dipinto con balaustrata di marmo” stanno due quadri grandi, non meglio specificati.
Sopra l'altare della prima cappella a sinistra sta una pala dell'Immacolata Concezione, cui la cappella è intitolata, “pittura del Moncalvo”. Al famoso artista monferrino Guglielmo Caccia, detto il Moncalvo (1568-1625), (che però stranamente sia il Barili che il Romani dicono “bolognese”) appartiene anche il “quadro dell'Angelo Custode”, che il nostro inventario colloca nella sesta cappella, la prima dall'alto sulla destra. Erano sicuramente le opere artistiche di maggior pregio presenti nel tempio barnabitico ed entrambe, dopo la soppressione dell'Ordine religioso nel 1810, furono confiscate e sottratte per sempre a Casalmaggiore (dove il Moncalvo, lo ricordiamo tra parentesi, rimane però presente con le quattro grandi tele delle Virtù cardinali del duomo di S. Stefano).
Le due opere tuttavia hanno fatto recentemente un fugace ritorno in patria e il pubblico casalasco ha potuto ammirarle nel 1999 , eccezionalmente, e forse per l'ultima volta, riunite insieme nel loro luogo d'origine, in occasione della memorabile mostra “Barocco nella Bassa. Pittori del Seicento e del Settecento in una terra di confine”. Entrambe si trovano riprodotte, accompagnate da esaurienti schede critiche, alle pp. 86-89 del bel catalogo, al quale rinvio per ogni approfondimento critico e bibliografico, che qui devo tralasciare.
L'Immacolata Concezione costituiva anzi la novità più significativa della mostra, in quanto per la prima volta l'opera del Moncalvo proveniente da S. Croce veniva riconosciuta in una tela ora conservata nella parrocchiale di Marzalengo, frazione di Castelverde. L'identificazione sostenuta nella scheda del catalogo (p. 88), pur in assenza di prove documentarie dirimenti, appare del tutto convincente sul piano stilistico. Nessun dubbio invece è possibile riguardo all'altro capolavoro del Moncalvo, il “quadro dell'Angelo Custode”, ora in una chiesa di Golasecca (Varese) in deposito da Brera, come ha ampiamente dimostrato il Pescarmona fin dal 1989 e confermato A. M. Bava nella relativa scheda (p. 86). Il dipinto in realtà raffigura una drammatica Pietà, con la Madonna, la Maddalena e due piccoli angeli che esprimono la loro disperazione di fronte al cadavere di Cristo, mentre sul lato destro spunta un esile angelo custode che indica la pietosa scena a un bambinetto, il quale però non se ne cura e fissa spaventato un demonio in forma di drago che si avventa contro di lui. Le due figure appaiono del tutto estranee al contesto e indeboliscono con la loro incongrua presenza la coerenza iconografica e la tensione spirituale dell'opera. Si direbbe che il pittore le abbia inserite a forza nella sua composizione e in effetti, ripercorrendo le vicende che hanno accompagnato la creazione del dipinto, scopriamo che probabilmente è avvenuto proprio così.
Il Caccia ebbe stretti rapporti con i Barnabiti, dai quali ricevette molte commissioni per le maggiori chiese dell'Ordine: di speciale importanza quelle di Milano, Monza, Novara e Pavia. Quanto a Casalmaggiore, la Torri (tesi citata, p. 87) parla in effetti di trattative col Moncalvo per un quadro dell'Angelo custode avviate già nel 1616, ma esse dovettero rimanere senza esito, perchè la svolta avvenne il 1° marzo 1620, quando Cesare Rizzaghi con testamento rogato dal notaio casalasco Altimanio Aroldi lasciò erede universale dei suoi beni l'altare dell'Angelo custode eretto nella chiesa di S. Croce, dove voleva essere sepolto. Con un particolare legato egli infatti stabilì che si spendessero 150 ducati di Milano per ornarla con un dipinto o un rilievo che doveva recare l'immagine dell'Angelo custode (“expendere ducatonos centum quinquaginta in ornando capellam ipsius altaris Angeli custodis, cum condicione quod in dicto ornamento adsit et apponatur effigies seu statura una vulgo dicta rilievo ipsius Angeli custodis”). Pochi giorni dopo, il 7 marzo 1620, il Rizzaghi morì e il preposto del collegio barnabitico si presentò subito al pretore di Casalmaggiore per denunciarne la morte e far valere il testamento in proprio favore. I due documenti in copia si trovano presso l'Archivio di Milano nella citata cartella 1729 del Fondo di Religione.
L'incarico venne affidato al Moncalvo, che non dovette impiegare molto a consegnare l'opera terminata. Va segnalato un particolare finora sfuggito: a reggere il collegio di Casalmaggiore fu, dal 1620 al 1623, il padre Alfonso (al secolo Francesco) Caccia, nato a Novara nel 1591 e morto a Sondrio nel 1631 (v. S. Pagano, Gerarchia Barnabitica, Roma 1994, p. 81). Era questo padre Caccia della famiglia del Guglielmo Caccia pittore? Non ho alcun elemento per affermarlo, ma è irresistibile la tentazione di riconoscere in Francesco uno stretto parente, o addirittura il figlio, di Guglielmo, che sappiamo essersi sposato nel 1589. Se ciò fosse appurato, i continui rapporti di lavoro tra il Moncalvo e l'ordine barnabitico assumerebbero una spiegazione e un significato del tutto nuovi. In via di pura ipotesi mi spingerei perfino ad immaginare che nella parte destra del dipinto dovesse inizialmente trovarsi la figura di S. Giovanni, che normalmente accompagna nel compianto del Cristo morto la Madonna e la Maddalena, sostituita nella fase finale dell'esecuzione dall'angelo custode imposto dal testamento del Rizzaghi.

Ritornando all'elenco dei quadri da cui siamo partiti, sull'altare n. 3 intitolato al Beato Alessandro Sauli, troviamo un dipinto che lo rappresenta “in atto di licenziarsi da S. Carlo Borromeo” ed è “pittura del Ferrari Parmigiano”. Il Sauli (1534-1592) di grande famiglia genovese, fu barnabita di grande prestigio per pietà e cultura, molto legato al Borromeo ed anche a Gregorio XIV, il papa cremonese Niccolò Sfondrati; venne beatificato nel 1741 e proclamato santo nel 1904. Anche il nostro Romani (libro VIII, pp. 138-140) ricorda la solenne cerimonia che si svolse nel collegio casalasco nel 1741 per celebrare la sua beatificazione e descrive “il ricco altare in fini marmi coll'elegante costosissimo cancello di ferro, che chiudeva la cappella”, senza far cenno del quadro. Del quale in verità non ho alcuna notizia ed anche il Ferrari parmigiano che lo dipinse è di difficile identificazione: forse si tratta di Paolo Ferrari nativo di Sissa, che nella prima metà del '700 lavorò a Parma e nel territorio, padre del più celebre Pietro Melchiorre. Il Romani (l. VII, p.168) afferma che “l'ancona marmorea all'altare del B. Alessandro Sauli in S. Croce, dopo la soppressione di questa, fu collocata nel fondo della cappella maggiore” del duomo di S. Stefano. Corrisponde al “ricco altare” di cui sopra? Se ne hanno ora notizie? La risposta ai più intendenti di cose arcipretali.
Al n. 4 dell'elenco (ultima cappella sul fianco sinistro) figura l'altare della Vergine, con un quadro della Purificazione di Maria, “pittura del Tartaroti”. Il mistero è in questo caso totale, perchè non si conosce nessun pittore con tale nome. Solo per assonanza si può ipotizzare il cremonese Angelo Massarotti (1654-1723).
Nella prima cappella dal basso sulla destra, dedicata a S. Bartolomeo (n. 5), vi è un quadro dell'apostolo, “pittura dicesi di certo Sabbioneta”, sicuramente uno dei numerosi Pesenti di Sabbioneta, operosi tra XVI e XVII secolo.
Infine nella cappella “dipinta a fresco dai moderni pittori Antonio Zanetti e Giambattista Pellizzari di Casalmaggiore”, si trova un quadro “esprimente il transito di S. Giuseppe”, “pittura d'incerto autore”. Difficile è diradare questa incertezza; noterei però che nel duomo di S. Stefano esiste una tela che rappresenta Gesù e la Madonna che assistono un S. Giuseppe che attende devotamente la fine, un soggetto piuttosto raro connesso al diffuso culto di cui il santo godeva, prima di essere riciclato in tempi recenti come patrono dei lavoratori, per invocare da lui la buona morte.
Il dipinto, con l'attribuzione ad un “anonimo lombardo del XVII secolo” (ma direi piuttosto XVIII) e senza riferimenti a una sua originaria presenza in S. Croce, è citato e riprodotto nel fondamentale volume di M. A. Donzelli e U. Bocchi sui dipinti di S. Stefano edito nel 1998, a p. 77. Credo che si possa arrischiare un'identificazione.
Quanto ai due casalaschi che decorarono a fresco la cappella, furono entrambi allievi dell'abate Francesco Chiozzi, che nella seconda metà del '700 aprì una vivace scuola di pittura da cui uscirono molti giovani artisti, che, come pittori di figura e di ornati, operarono in patria e nelle città vicine, partecipando degnamente a quel generale risveglio della cultura e delle arti che si ebbe nella Casalmaggiore da poco proclamata città. Entrambi vengono ricordati con lode dal Barili (Notizie storico-patrie, pp. 181-182), e il Romani dà un ammirato giudizio “dei rari talenti e della somma abilità” dello Zanetti (l. X, pp. 627-28). Ad essi rinvio per le notizie generali ed anche per il loro intervento in S. Croce, che resta per noi perduto, come quasi tutto il patrimonio d'arte di cui ho cercato di rievocare la storia.

Archivio Storico dei Barnabiti, Milano, Planimetria della Chiesa di Santa Croce e di parte del primo collegio dei Barnabiti, firmata dal Padre Fabio Pellizzoni

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Descrizione dei quadri esistenti nella chiesa di Santa Croce, Chiesa di Santa Croce, 1798
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Guglielmo Caccia detto il Moncalvo, Pietà con Angelo custode, Parrocchiale di Golasecca (Varese), già in Santa Croce
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Guglielmo Caccia detto il Moncalvo, Immacolata Concezione, Parrocchiale di Marzalengo (Cremona), già in Santa Croce
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Anonimo, Transito di San Giuseppe, Chiesa di Santo Stefano, Casalmaggiore, già in Santa Croce (?)
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Pubblicato su "Casalmaggiore", bimestrale a cura
dell'Associazione Pro Loco di Casalmaggiore
Febbraio 2011

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